La responsabilità penale ”maggiorata” del chirurgo estetico
di Antonio Di Santo
Approssimandosi il 2023, la chirurgia estetica costituisce un ambito della medicina sempre più presente nelle nostre vite, non più relegato, come, fino a qualche decennio fa, a situazioni più estreme, connesse maggiormente, ad esempio, a gravi vicende di incidenti ma ormai ad un bisogno, sempre più crescente, di personale accettazione psico-fisica del proprio corpo su cui ricade la massima attenzione.
Tale circostanza ha, altresì, avuto un impatto in ambito giuridico, in particolar modo con un pressante interrogativo sul ruolo del chirurgo estetico ovvero sui doveri informativi incombenti in capo al medesimo nei confronti del paziente, sulla sua responsabilità penale in caso di insuccesso operatorio e sulle ricadute, anche civilistiche, nell’ambito del risarcimento danni.
Sommario
- Un maggior onere informativo in capo al chirurgo estetico: obbligazione di mezzo o di risultato?
- I confini della responsabilità penale del chirurgo estetico
- Conclusioni
1. Un maggior onere informativo in capo al chirurgo estetico: obbligazione di mezzo o di risultato?
“L’obbligazione grave sul chirurgo plastico non è quella […] di fornire le cure ma è piuttosto volta al miglioramento delle imperfezioni, è evidente come questa disciplina chirurgica ben si presti ad essere considerata ampiamente come fonte di un’obbligazione di risultato, piuttosto che di mezzi, poiché, nel momento in cui il paziente si sottopone ad un intervento chirurgico, lo fa in vista di un determinato risultato estetico e non certo per ottenere dal medico solo la rassicurazione che farà il possibile per raggiungerlo”.
Richiamando una risalente pronuncia di legittimità (Cass., n. 10014/1994), così si è espresso il Tribunale di Pistoia con la decisione n. 595/2021, che racchiude, in breve, la tematica in esame.
Se, da una parte, si deve, infatti, riconoscere, in capo al chirurgo estetico un maggior onere informativo rispetto al paziente che dovrà rilasciare un consenso pieno, attuale, libero, volontario ed autonomo, proprio perché, ad eccezione dei casi curativi, la chirurgia plastica ha una finalità, ulteriore e diversa, ovvero prettamente estetica, dall’altra, bisogna precisare come la giurisprudenza si sia, nel corso degli anni, interrogata rispetto alla qualificazione dell’obbligazione a cui il chirurgo plastico è tenuto.
In origine, contrariamente a quanto di recente statuito, la Suprema Corte aveva, invero, inquadrato l’obbligo del professionista come un’obbligazione di mezzi; a titolo esemplificativo, può richiamarsi Cass., n. 12253/1997 e, successivamente, in ambito di merito, Tribunale di Bari, sent. n. 1780/2011, secondo cui “l’obbligazione del professionista nei confronti del proprio cliente, anche nel caso di intervento di chirurgia estetica, è di mezzi, onde il chirurgo non risponde del mancato raggiungimento del risultato che il cliente si attendeva e che egli non è tenuto ad assicurare, nell’assenza di negligenza od imperizia, fermo l’obbligo del professionista di prospettare al paziente realisticamente le possibilità dell’ottenimento del risultato perseguito”.
Nonostante la discrepanza giurisprudenziale di cui sopra, il dato di partenza su cui dover ragionare, in ambito di consenso informato, è da ricercare nei principi enucleati dagli artt. 2, 13 e 32 della nostra Carta costituzionale che pongono il diritto alla salute come suo corollario.
In primo luogo, l’art. 1, primo comma, della Legge n. 219/2017, contenente “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, ha previsto come “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge” (principio, questo, richiamato dalla giurisprudenza di merito, Tribunale di Palermo, sent. n. 2821/2019).
Da ulteriore, in materia, non può non citarsi un’importante pronuncia degli Ermellini che ha sintetizzato tali principi nella seguente statuizione: “Quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio per garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione” (Cass., n. 438/2008).
Peraltro, “il miglioramento del proprio aspetto fisico acquista un particolare significato nel quadro dei doveri informativi di cui è tenuto il sanitario, anche perché solo in questo modo il paziente è messo in grado di valutare l’opportunità o meno di sottoporsi all’intervento di chirurgia estetica. In questa materia, infatti, può parlarsi nella maggioranza dei casi, di interventi non necessari, che mirano all’eliminazione di inestetismi e che, come tali, devono essere oggetto di un’informazione puntuale e dettagliata in ordine ai concreti effetti migliorativi del trattamento proposto” (Cass., n. 12830/2014 e, conformemente, Cass., n. 9321/2017).
2. I confini della responsabilità penale del chirurgo estetico
Ciò premesso, è possibile interrogarsi rispetto ai confini della responsabilità penale del chirurgo estetico.
Sul punto, deve richiamarsi una sentenza di legittimità che ha fatto giurisprudenza.
Segnatamente, con la sentenza n. 47265/2012, la Suprema Corte ha limitato i confini della responsabilità penale del professionista, effettuando una precisa distinzione tra “malattia” (consistente in “una perturbazione funzionale di tipo dinamico che, quindi, dopo un certo tempo, conduca alla guarigione, alla stabilizzazione in una nuova situazione di benessere fisico degradato o alla morte” ovvero nel “concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l’adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte”) e “inestetismi” (da ricondurre ad una “situazione consolidata di “abnormalità morfologica” o di aggravamento di una situazione di tal genere preesistente, che non adduce alcun pregiudizio funzionale e, soprattutto, non innesca un processo morboso evolutivo”).
A fronte di tale preliminare distinzione, la Corte cristallizzava la qualificazione non penale del secondo concetto (ferma, tuttavia, la responsabilità non patrimoniale da valutare in sede civilistica), che non andava confuso con lo stato di malattia richiesto dalla legge penale per l’integrazione del delitto di lesioni.
Ad avviso degli Ermellini (che qualificavano, rispettivamente, nei termini di un semplice inestetismo l’asimmetria del seno riportata da una paziente, sottopostasi ad un intervento di mastoplastica additiva, dopo l’inserimento della protesi e nei termini di una malattia le tumefazioni riportate dalla predetta in zona epigastrica e l’abbassamento del valore emoglobulare) non era, poi, da escludere come, in ragione della grave frustrazione patita per la delusione post-operatoria e per il peggioramento del profilo estetico nonché alla luce di un generato disturbo psichico di carattere ansioso-depressivo, si potesse avere l’insorgenza di un stato morboso di malattia, naturalmente con onere probatorio in capo al denunziante.
Bisogna, peraltro, precisare come la responsabilità professionale della figura del medico abbia subito, negli ultimi anni, una rilevante evoluzione legislativa.
Per lungo tempo, la Legge n. 189/2012, c.d. “Legge Balduzzi”, aveva disciplinato la colpa medica, prevedendo, all’art. 3, come il medico potesse rispondere, sul piano, penale, solo per i casi di colpa grave (ovvero per quelle situazioni in cui macroscopiche specificità del caso concreto richiedevano di non attenersi al rispetto delle linee guida), escludendo, pertanto, quelle fattispecie di colpa lieve (quando le specificità non erano macroscopiche).
Con la riforma introdotta dalla Legge n. 24/2017, c.d. “Legge Gelli-Bianco” (sul punto, cfr. Cass., n. 50078/2017), è stata cristallizzata, all’art. 6, la responsabilità penale del medico, con esclusione della punibilità nei casi in cui l’evento si fosse verificato per imperizia, avendo, tuttavia, rispettato le linee guida adeguate al singolo caso.
3. Conclusioni
Ciò che emerge dalle indicate considerazioni è un maggiore focus su un ambito della medicina che, con il trascorrere degli anni e dell’evoluzione delle tecniche sia per maggiore semplificazione delle stesse sia per una netta riduzione delle tempistiche anche di ripresa post-operatoria (visto che moltissime operazioni avvengono in un regime di day-hospital), ha ricevuto un alto grado di interessamento, anche per un miglioramento d’immediata evidenza (soprattutto per quelle situazioni dove non si può parlare di un vero e proprio post-operatorio) di impercettibili difetti fisici (basti pensare, ad esempio, al filler).
Nonostante il divario giurisprudenziale sopraesposto, il dato che può ritenersi indubbio è da rinvenire nella finalità terapeutica insita in un intervento estetico ovvero nella volontà del paziente di risolvere un disagio personale-relazionale.
È chiaro che non sempre sarà facile differenziare il fine terapeutico da quello estetico e che un obbligo di consenso maggiormente informato da parte del professionista sarà essenziale per assicurare un’operazione pienamente volontaria, ma, ad avviso di chi scrive, un onere, anche di carattere probatorio, così elevato in capo al solo chirurgo plastico risulta eccessivo e, spesso, non sempre efficace sul piano del rilascio di un consenso davvero volontario.
Ciò che sicuramente va evidenziato è il pre-ricorso alla figura dello psicologo che ricoprirà un compito di essenziale rilevanza nel supportare il paziente, non solo nell’affrontare il percorso operatorio sul piano fisico, ma soprattutto quello post-operatorio, con il cambiamento psico-fisico derivante da esso, anche alla luce dei possibili rischi – derivanti sia da una condotta contraddistinta da imperizia, negligenza e in generale colpa del medico sia da fattori all’infuori del suo controllo – di una possibile malriuscita dell’intervento.
Pur essendo la giurisprudenza più recente a favore di un’obbligazione di risultato, è indubbio come il maggior onere informativo incombente in capo al professionista richieda, al contempo, l’adozione di un livello di rischio più elevato in capo al paziente, il quale dovrà dimostrarsi ben conscio, dei maggiori rischi, anche di insuccesso, derivanti da cause sia direttamente dipendenti dal medico che di natura esterna, proprio per il carattere fondamentale della chirurgia estetica, non già strettamente urgente, necessaria o salvavita come nella “tradizionale” chirurgia.