Non risulta essere un mistero come la sanità pubblica italiana sia ormai, da svariati decenni, al collasso, con una crescente privatizzazione di tali servizi ai danni dei cittadini contribuenti che, nonostante le copiose quantità di denaro versate annualmente a titolo di tasse, devono ritrovarsi a fare i conti con le lunghissime liste d’attesa del SSN.
Un altro scenario a cui spesso ci troviamo ad assistere è quello dell’incapacità dei vari pronto soccorso sparsi sul territorio italiano ad assistere tutti quanti coloro che si trovano in attesa ovvero a tutti quei ricoveri improvvisati in corsia e non già nelle adibite stanze dei vari reparti di competenza nonché a tutti quei conseguenti ritardi nello svolgimento dei necessari esami diagnostici.
Purtroppo, come ben noto, non tutti hanno la possibilità di rivolgersi ai servizi privati sia in virtù degli alti costi spesso non sopportabili da una comune famiglia italiana con due o più figli, magari anche monoreddito, sia in ragione della richiesta che spesso viene fatta di possedere una previa assicurazione sanitaria.
Pensiamo, in via alternativa, anche ad un diverso scenario che, sfortunatamente non sembra mancare in Italia ovvero quello del ritardo diagnostico causato da una condotta colposa, per negligenza o imperizia, del sanitario il quale non realizzi i necessari approfondimenti diagnostici.
Risulta, quindi, palese come da un ritardo diagnostico possa derivare anche un aggravamento di un quadro sanitario già preesistente, con l’insorgenza di danni, altresì di apprezzabile entità, all’integrità psico-fisica (e non solo) del paziente, leso nel proprio diritto alla salute, costituzionalmente garantito dall’art. 32, fino ad arrivare, nei casi più infausti, al suo decesso.
1. La responsabilità penale ex art. 590 c.p. da prolungamento della malattia
Come noto, ai sensi dell’art. 590 c.p., chiunque cagioni ad altri lesioni personali colpose sarà penalmente perseguibile.
Ebbene, proprio partendo da tale disposizione, la IV Sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata con la
sentenza n. 5315/2020 nell’ambito di un procedimento instaurato a carico di due ortopedici ed un radiologo, con l’accusa di aver causato colposamente un peggioramento delle condizioni di salute di un loro paziente.
Secondo il capo d’imputazione, i sanitari, avendo mancato di diagnosticare la sussistenza di una specifica lesione nelle vertebre del paziente, non avrebbero attuato gli accertamenti diagnostici indispensabili per una tempestiva ripresa dello stesso, con un aggravamento delle sue condizioni di salute ed un ritardo nell’identificazione di una corretta terapia.
Con una condanna di primo grado, i tre medici riuscivano ad ottenere una pronuncia di assoluzione in appello, avverso la quale, la parte civile proponeva ricorso per Cassazione, ai fini civilistici.
Accogliendo il ricorso, la Suprema Corte muoveva le proprie considerazioni dal concetto di malattia ex artt. 582-590 c.p. e dalla giurisprudenza di legittimità sviluppatasi nel corso degli anni (ex plurimis, Cass., n. 33492/2019;
Cass., n. 22156/2016;
Cass., n. 40428/2009 e Cass., n. 17505/2008), secondo cui “[a]i fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia giuridicamente rilevante non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono in realtà anche mancare, bensì solo quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa”.
Ciò posto, il compito degli Ermellini sarebbe stato quello di stabilire se, considerato il concetto di malattia sopra delineato, il prolungamento del tempo necessario per la riduzione o stabilizzazione della lesione, potesse rientrare in tale ambito.
Ebbene, secondo la Cassazione, il responso di senso positivo doveva trarsi dal legame tra il concetto di lesioni e quello di malattia.
Invero, l’impiego del verbo “deriva” nell’art. 582 c.p. (“[c]hiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale deriva una malattia è punito […]”) “cristallizza il concetto penalistico di malattia come connotato della nozione penalistica di lesione personale”, risultando che “ogni condotta colposa che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produce ex se un aggravamento della lesione e della relativa perturbazione funzionale, assume rilievo penale allorquando generi la dilatazione del periodo necessario al raggiungimento della guarigione o della stabilizzazione dello stato di salute”.
Tale decisione ha assunto contorni estremamente rilevanti, con il rischio di far divenire penalmente rilevante qualsivoglia ritardo diagnostico, con un allungamento della malattia: pensiamo, a titolo esemplificativo, ad un intervento chirurgico per l’asportazione di una determinata massa a cui potrebbe seguire un secondo intervento per rimuovere delle aderenze che magari in sede di accertamento eseguito antecedentemente al primo intervento non erano state rinvenute.
2. Violazione del diritto di libera determinazione del paziente nella scelta dei propri percorsi esistenziali: il risarcimento del danno non patrimoniale
Per quanto riguarda, invece, il profilo civilistico, una questione di cui spesso si dibatte è quella relativa alla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione del diritto di libera determinazione del paziente nella scelta dei propri percorsi esistenziali su cui la III Sezione civile della Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi con l’ordinanza n. 28632/2022.
Nel caso de quo, la vicenda traeva le proprie origini dalla richiesta di risarcimento dei danni formulata dalla madre e dalla figlia del loro congiunto (rispettivamente, padre e coniuge) deceduto a causa di una tardiva diagnosi da parte dei sanitari, con una conseguente violazione del diritto dello stesso di “determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto”.
In tale circostanza, gli Ermellini affermavano come fosse compito del giudice, nell’accertamento dell’effettivo pregiudizio patito, individuare i rilessi negativi generati dall’evento dannoso, con l’esclusione al ricorso di rigidi parametri monetari astrattamente fissati, di termini simbolici o irrisori nonché al ricorso del libero arbitrio del giudicante.
A prescindere dal sistema di quantificazione adottato, secondo la Suprema Corte, era essenziale “pervenire ad una valutazione del danno informata ad equità, e che il giudice dia adeguatamente conto in motivazione del processo logico al riguardo seguito, indicando quanto assunto a base del procedimento valutativo seguito, al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità”.
3. Danno da perdita di chance e previo accertamento del nesso di causalità
Un altro tema che viene in discussione è quello del danno da perdita di chance su cui la III Sezione civile della Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi con la sentenza n. 5641/2018.
Si è trattata di una decisione assai importante che ha cristallizzato dei concetti pilastro in ambito di “possibilità perduta”, la quale si estende nel settore del danno patrimoniale, con un forte dibattito circa la forma assunta ovvero se quella del danno emergente o del lucro cessante.
Gli Ermellini hanno, invero, chiarito come il compito del giudicante sarà quello di partire dall’accertamento della condotta e dall’accertamento del nesso causale tra la medesima e l’evento di danno e, nell’eventualità in cui lo stesso sia rappresentato dal mancato risultato dello stesso (ovvero, nella fattispecie in esame, la perdita anticipata della vita), si dovrà trattare non già di chance perduta ma di un altro evento di danno.
Segnatamente, sono state delineate diverse possibili casistiche nel settore sanitario ovvero:
se la condotta colpevole del sanitario ha cagionato il decesso del paziente, il primo dovrà rispondere di danno biologico nei confronti del paziente e di danno da lesione del rapporto parentale avverso i familiari dello stesso;
se la condotta colpevole del sanitario non ha cagionato la morte del paziente ma un’apprezzabile riduzione della sua esistenza con un peggioramento della medesima con aumentate sofferenze fisiche e spirituali, si configurerà un evento di danno e non una perdita di chance;
se la condotta colpevole del sanitario non avrà avuto alcun riflesso di tipo causale rispetto allo sviluppo della malattia, alla sua durata, alla qualità della vita e sull’esito finale, con un “solo” peggioramento dell’organizzazione di vita del paziente (pensiamo, ad esempio, al mancato ricorso alle cure palliative), l’evento di danno non si inquadrerà nell’ambito della perdita di chance ma da un peggioramento della qualità di vita;
nel caso in cui la condotta colpevole del sanitario abbia avuto, quale conseguenza, un evento di danno incerto (“nei termini di insanabile incertezza rispetto all’eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze”), “tale incertezza eventistica (la sola che consenta di discorrere legittimamente di chance perduta) – sarà risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta – se provato il nesso causale […] tra la condotta e l’evento incerto […] nella sua necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà e consistenza”.
Ne deriva, pertanto, che “l’incertezza del risultato incide non sulla analisi del nesso causale, ma sulla identificazione del danno, poiché la possibilità perduta di un risultato sperato (nella quale si sostanzia la chance) è la qualificazione/identificazione di un danno risarcibile a seguito della lesione di una situazione soggettiva rilevante, e non della relazione causale tra condotta ed evento, che si presuppone risulta positivamente prima e a prescindere dall’analisi dell’evento lamentato come fonte di danno”.
La Suprema Corte concludeva, quindi, sul caso di specie che “ove risulti provato, sul piano etiologico, che la mancata diagnosi di una patologia tumorale abbia cagionato la morte anticipata del paziente, che sarebbe (certamente o probabilmente) sopravvissuto significativamente più a lungo e in condizioni di vita (fisiche e spiritali) diverse e migliori, non di “maggiori chance di sopravvivenza” sarà lecito discorrere, bensì di un evento di danno rappresentato, in via diretta ed immediata, dalla minore durata della vita e dalla sua peggiore qualità (fisica e spirituale), con tutto quanto ne discende in termini di quantificazione e liquidazione, a questo punto non limitato al lucro cessante o al danno emergente […]”.
In questi termini la Cassazione ha circoscritto il campo del concetto di perdita di chance all’area della responsabilità patrimoniale, con previo accertamento di sussistenza del nesso di causalità, facendo emergere una fattispecie di danno a sé stante.
4. Conclusioni
Dai rilievi sopraesposti, è possibile trarre le seguenti conclusioni.
La malasanità italiana continua a rappresentare un tema molto caldo con un numero elevatissimo di cause pendenti avverso le varie strutture ospedaliere e i diversi sanitari per errori e ritardi diagnostici.
Dalla pronuncia penale sopra esaminata e dalle derivanti decisioni in ambito di risarcimento civilistico, si può dedurre un ampliamento estensivo della punibilità, per una corretta tutela del diritto alla salute (e non solo) del paziente.
Ad ogni modo, però, come il diritto ben ci insegna, il bilanciamento è la chiave di tutto e che la sanità pubblica italiana sia ormai al collasso è un dato di fatto.
I medici (molto pochi se si considerano le assunzioni nel resto dell’Europa e del mondo) si trovano quotidianamente oberati da un numero sproporzionato di pazienti, da massacranti turni spesso non seguiti dalle indispensabili ore di recupero (come accaduto durante gli anni di emergenza dovuti alla diffusione del Coronavirus) e soprattutto costretti ad esercitare la professione in strutture pubbliche di scarsa qualità, sprovviste di macchinari adeguati, anche alla luce dei continui tagli governativi.
Insomma, lo scenario a cui tutti noi assistiamo quotidianamente non lascia ben presagire e l’errore o il ritardo nella diagnosi non sempre è imputabile ad una condotta colpevole del sanitario di turno, vittima anche lui di meccanismi superiori da cui non sembra esserci via d’uscita, con un potenziale ribaltamento di responsabilità, da parte del sanitario stesso, avverso la struttura ospedaliera, proprio in virtù delle pessime condizioni in cui si trovano a svolgere la professione.
La soluzione?
Come già anticipato, il bilanciamento da parte del giudicante nell’esaminare la singola vicenda, con un occhio critico nei confronti di tutti gli elementi del singolo caso come, ad esempio, dalle caratteristiche del paziente all’entità del danno e dal territorio in cui opera il sanitario ai profili della lesione arrecata con un’apprezzabile tolleranza nei confronti di quest’ultimo, evitando che tali vicende possano trasformarsi in un mero tentativo del paziente di acquisire un esborso statale, ai danni sia delle casse italiane sia della giustizia stessa.