L’intelligenza artificiale al servizio della giustizia penale?
L’esigenza di celerità e di contenimento della mole di processi ha portato alla necessità per la giustizia di adeguarsi alle nuove richieste provenienti dal mondo politico, da parte degli addetti ai lavori e degli stessi utenti.
In tal senso, la riforma Cartabia, con una finalità di fuoriuscita anticipata del (presunto) reo dal circuito giudiziario è stata emblematica.
In questo contesto, si è inserita già da tempo anche la digitalizzazione del processo, fortemente impiegata nell’ambito civile e che sta avanzando, seppur in maniera più lenta, anche in sede penale.
Se i più conservatori nutrono ancora qualche remora, il “partito” più progressista ha, addirittura, insinuato l’idea di applicare l’Intelligenza Artificiale nell’ambito della giustizia penale, al fine di soddisfare le esigenze di rapidità, efficienza ed efficacia della medesima, alla luce dell’utilizzo ormai massiccio dei sistemi di intelligenza artificiale nella vita di tutti i giorni (basti pensare a tutti quei dispositivi, denominati “intelligenti”, presenti nelle nostre esistenze e che, almeno in teoria, dovrebbero aiutare a semplificarle).
1. L’Intelligenza artificiale: definizione ed origine storica
Prima di approfondire le possibili applicazioni degli strumenti di Intelligenza Artificiale al campo del diritto (in particolar modo a quello del diritto penale) e le conseguenti implicazioni, risulta essenziale comprendere il concetto di Intelligenza Artificiale.
Come si legge dal sito web del Parlamento Europeo, l’Intelligenza Artificiale (nota anche con l’abbreviazione, “IA”) consiste nell’“abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività” e “permette ai sistemi di capire il proprio ambiente, mettersi in relazione con quello che percepisce e risolvere problemi, e agire verso un obiettivo specifico. Il computer riceve i dati (già preparati o raccolti tramite sensori, come una videocamera), li processa e risponde”, essendo in grado di “adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia”.
Ricercando nella storia la prima comparsa dell’Intelligenza Artificiale, dobbiamo risalire agli anni ’50, quando durante un importante convegno scientifico tenutosi nel 1956 presso il Darmouth College, nel New Hampshire, il matematico inglese Alan Turing presentò un articolo a sua firma, dal titolo “Computing machinery and intelligence”, ove descrisse le modalità (quello che, successivamente, divenne il c.d. “test di Turing”) per comprendere se una macchina potesse essere considerata intelligente o meno ovvero se il suo comportamento potesse essere considerato al pari di quello formulato da un soggetto umano.
2. Intelligenza artificiale e diritto penale
Come si evince dall’attuale panorama giudiziario, il diritto penale rimane sempre un passo indietro rispetto al fenomeno della digitalizzazione che ha maggiormente colpito altre branche del diritto pubblico.
Ad ogni modo, però, cercando di fare uno sforzo intellettivo, gli algoritmi e gli automatismi dell’Intelligenza Artificiale potrebbero essere applicati, in un’ottica di giustizia predittiva, da parte delle Autorità per prevedere (si pensi alla pratica del riconoscimento facciale automatizzato tramite un’apposita banca dati), per l’appunto, la commissione di determinati reati (ad esempio, in certe zone del mondo con un tasso di criminalità più elevato) ovvero per pre-identificare gli autori di specifiche categorie di illeciti (a titolo esemplificativo, persone già note al sistema della giustizia con una più elevata possibilità di recidiva e, pertanto, di incorrere nuovamente in reati della stessa natura).
Tali sistemi potrebbero, inoltre, essere applicati per la fase delle indagini preliminari per valutare le risultanze emerse. Pensiamo, ad esempio, alle sommarie informazioni testimoniali rese dai vari soggetti informati sui fatti oggetto di contestazione, la cui attendibilità potrebbe essere valutata tramite adeguati controlli incrociati per l’accertamento di eventuali discrepanze tra le stesse e per l’emersione di profili di colpevolezza.
Spingendoci ancor di più, gli algoritmi potrebbero essere impiegati nell’ambito di decisioni automatiche, assicurando così un risparmio di risorse economiche ed umane.
3. I limiti dell’applicazione dei sistemi di Intelligenza Artificiale al diritto penale
Un’applicazione massiccia dei sistemi di Intelligenza Artificiale al diritto penale potrebbe, tuttavia, portare ad una dis-umanizzazione della giustizia.
Perplessità sorgono soprattutto nell’ambito dell’accertamento tanto dell’elemento oggettivo quanto dell’elemento soggettivo della fattispecie illecita.
Come potrebbe un algoritmo valutare le diverse sfumature dell’elemento psicologico (pensiamo, ad esempio, all’elemento del dolo eventuale o della premeditazione) che spinge un uomo a delinquere oppure pensiamo ai casi delle diverse cause di giustificazioni (scriminanti) che potrebbero escludere un’antigiuridicità della fattispecie?
Il rischio di incorrere in pronunce basate su un criterio di responsabilità oggettiva sarebbe dietro l’angolo.
Dubbi sussistono, altresì, rispetto all’accertamento dell’elemento materiale dell’illecito ove un determinato fattore – preso sic et simpliciter – non sarebbe considerato sospettoso, se non applicando la sensibilità umana e con riferimento ad altri elementi indiretti emersi in fase d’indagine.
In questi casi, si potrebbero verificare delle gravi lesioni a tutti quei principi corollari del diritto penale come al diritto al giusto processo, al diritto di difesa, al diritto di uguaglianza nonché al principio della ragionevole certezza e al diritto dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Inoltre, non potrebbero escludersi dei casi di distorto uso degli algoritmi per portare ad una decisione manovrata e confezionata “ad hoc” per il soddisfacimento di indebiti interessi extra-giuridici oppure di impiego dei diversi data base in violazione del diritto alla privacy dei dati sensibili, con un necessario coinvolgimento di tutta la recente normativa sviluppata in ambito di sicurezza dei dati personali.
Bisognerebbe, quindi, anche procedere alla creazione di uno specifico comitato in grado di monitorare sulla correttezza delle decisioni assunte sulla scorta degli algoritmi e dei diversi data base da cui vengono estratte i dati impiegati.
In tali circostanze, ci potrebbero peraltro essere, anche in una mera ottica dilatoria, numerosi atti di appello volti a contestare la regolarità di tali decisioni automatiche, con l’emersione di un ulteriore carico di lavoro, ai danni del circuito giudiziario.
4. Conclusioni
Dalle considerazioni già indicate, è possibile trarre le seguenti conclusioni.
Oltre a tutte le problematiche sopra evidenziate, almeno in Italia, ove il sistema della giustizia risulta forse più indietro rispetto ad altri paesi europei, c’è da considerare un altro aspetto ovvero quello di un esborso eccessivo (almeno per le nostre attuali possibilità di spesa pubblica) di risorse economiche ed umane.
Risulta, invero, palese come l’adozione dei sistemi di Intelligenza Artificiale non possa prescindere da una previa attività di formazione specifica ed altamente specializzata verso gli addetti ai lavori su tutto il territorio nazionale: pensiamo, a mero titolo esemplificativo, alle autorità delegate all’accertamento dei fatti di reato contestati dalla persona offesa con la propria iniziativa penale, al personale amministrativo che opera nell’ambito delle varie procure, agli stessi pubblici ministeri e giudici ed ovviamente anche agli stessi avvocati (in questi ultimi casi, il costo di tale formazione andrebbe quasi sicuramente a gravare sui professionisti medesimi, con un ulteriore sovraccarico economico, oltre ai vari costi ordinari già sussistenti).
Il diritto penale, unico nel suo genere, richiede un’applicazione della sensibilità umana che forse manca nelle altre branche del diritto e che difficilmente potrà confluire in freddi e scostanti sistemi di calcolo.
Se vogliamo, infatti, che il diritto penale continui a soddisfare quei criteri fondamentali di certezza del diritto, dell’oltre ogni ragionevole dubbio, di tutela del reo, in un’ottica generale di garanzia dei diritti fondamentali della persona umana stabiliti a livello costituzionale, europeo ed internazionale, anche al fine di evitare possibili errori giudiziari, è necessario cercare di agire con estrema prudenza, evitando di cadere nella trappola dell’eccessiva digitalizzazione e spersonalizzazione di quella particolare branca del diritto pubblico che disciplina l’esercizio del potere punitivo statale, ove il giudicante che, per quanto possa essere chiamato a svolgere il proprio incarico di applicazione e, molto spesso, di interpretazione della legge in maniera imparziale e terza, sarà implicitamente guidato dai propri convincimenti professionali, dalle proprie precedenti esperienze (anche personali) nonché dal proprio libero apprezzamento e dalla propria sensibilità (basti pensare a tutte quelle vicende giudiziarie a cui si applica il c.d. “Codice Rosso” ove risulta sempre molto difficile operare un completo distaccamento rispetto al singolo caso di specie).