La figura del mediatore penale nell’ambito della riforma Cartabia
Il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari (c.d. “riforma Cartabia”), dopo l’art. 129 c.p.p., ha introdotto l’art. 129-bis c.p.p. in materia di accesso ai programmi di giustizia riparativa, prevedendo la possibilità (e non già l’obbligo) per il giudice di disporre d’ufficio l’invio delle parti ad un centro per la mediazione, a seguito, pertanto, di precise valutazioni rispetto alla natura del reato, ai rapporti tra il soggetto agente e la vittima, all’adeguatezza dell’iter riparativo rispetto alle implicazioni derivanti dall’avvenuta commissione del fatto di reato.
Un’altra disposizione che è stata novellata dalla riforma Cartabia, con l’introduzione di un altro comma è stato quello dell’art. 419 c.p.p., ove all’art. 3-bis, è stato previsto come, in materia di atti introduttivi, l’imputato e la persona offesa debbano, altresì, essere informate circa la facoltà di accesso ai programmi di giustizia riparativa.
Da qui la nascita di una nuova figura ovvero quella del mediatore penale, sicuramente inusuale rispetto al professionista già operante, da svariati anni, in ambito civile, familiare e commerciale.
1. La disciplina normativa dell’intervento e della formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa
Il capo IV del titolo IV del D.Lgs. n. 150/2022 ha, invero, disciplinato l’intervento del mediatore penale, la cui presenza viene richiesta nel corso delle attività preliminari al primo incontro tra i partecipanti al programma di giustizia riparativa, ex
art. 54 dello stesso provvedimento legislativo; incontro, questo, preceduto da uno o più contatti con i mediatori e da colloqui tra il mediatore stesso e ognuno dei partecipanti al fine di acquisire le informazioni di cui all’
art. 47, terzo comma, di raccogliere il consenso ovvero di accertare l’adeguatezza e la fattibilità dei programmi medesimi.
Rispetto, poi, allo svolgimento degli incontri, i mediatori saranno tenuti a garantire “il trattamento rispettoso, non discriminatorio ed equiprossimo dei partecipanti”, assicurando tempistiche in linea con le esigenze della singola fattispecie del caso, ai sensi dell’
art. 55, secondo comma.
Con riferimento alla disciplina degli esiti riparativi, il programma, se si conclude con esito riparativo, questo potrà essere simbolico (comprendendo dichiarazioni o scuse formali) oppure materiale (includendo il risarcimento del danno), essendo sempre assicurata alle parti l’assistenza dei mediatori per l’esecuzione degli accordi di cui all’esito simbolico, ex
art. 56.
Al termine del programma, il mediatore dovrà redigere una relazione da trasmettere all’autorità giudiziaria competente (che svolgerà oppure valutazioni anche ai fini di cui all’art. 133 c.p.p.), comunicando le attività realizzate e l’esito riparativo raggiunto, oppure, in caso contrario, la mancata realizzazione del programma, l’interruzione del medesimo o il mancato raggiungimento di un esito riparativo, come previsto dall’
art. 57.
L’art. 59 ha, invece, regolamentato la formazione dei mediatori esperti in programmi di giustizia riparativa e i requisiti indispensabili all’esercizio dell’attività stessa.
Nello specifico, il primo comma prevede come “[l]a formazione dei mediatori esperti assicura l’acquisizione delle conoscenze, competenze, abilità e dei principi deontologici necessari a svolgere, con imparzialità, indipendenza, sensibilità ed equiprossimità, i programmi di giustizia riparativa”, aggiungendo al secondo comma, come “[i] mediatori esperti ricevono una formazione iniziale e continua” e al terzo comma come “[l]a formazione iniziale consiste in almeno duecentoquaranta ore, di cui un terzo dedicato alla formazione teorica e due terzi a quella pratica, seguite da almeno cento ore di tirocinio presso uno dei Centri per la giustizia riparativa […]”.
Il quarto comma stabilisce, poi, come “[l]a formazione continua consiste in non meno di trenta ore annuali, dedicate all’aggiornamento teorico e pratico, nonché allo scambio di prassi nazionali, europee e internazionali”, con una formazione teorica, di cui al quinto comma, in grado di fornire “conoscenze su principi teorie e metodi della giustizia riparativa, nonché nozioni basilari di diritto penale, diritto processuale penale, diritto penitenziario, diritto minorile, criminologia, vittimologia e ulteriori materie correlate” ed una formazione pratica, di cui al sesto comma, avente la finalità di “sviluppare capacità di ascolto e di relazione e […] fornire competenze e abilità necessarie alla gestione degli effetti negativi dei conflitti, con specifica attenzione alla gestione degli effetti negativi dei conflitti, con specifica attenzione alle vittime, ai minorenni e alle altre persone vulnerabili”.
Ne risulta, quindi, come il mediatore penale dovrà maturare specifiche competenze multidisciplinari, in ambito sia di hard sia di soft skills, con una formazione volta a far acquisire all’aspirante mediatore penale conoscenze sia teoriche sia pratiche.
2. Le precisazioni del D.M. 9 giugno 2023
Con il decreto ministeriale del 9 giugno 2023, avente ad oggetto l’“Istituzione presso il Ministero della giustizia dell’elenco dei mediatori esperti in giustizia riparativa. Disciplina dei requisiti per l’iscrizione e la cancellazione dall’elenco, del contributo per l’iscrizione allo stesso, delle cause di incompatibilità, dell’attribuzione della qualificazione di formatore, delle modalità di revisione e vigilanza sull’elenco, ed infine della data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione costituisce requisito obbligatorio per l’esercizio dell’attività”, si è nuovamente intervenuti sulla materia, disciplinando il nuovo percorso del formatore penale, a cui si potrà accedere previo possesso di un titolo di studio non inferiore alla laurea e superamento di una prova di ammissione culturale e attitudinale.
In particolar modo, la formazione teorica, in presenza (solo ¼ da remoto), è racchiusa in 160 effettive, con una percentuale bassissima di assenze (solo il 10%) mentre la formazione pratica, sempre in presenza, è di 320 ore, a cui seguirà un tirocinio curriculare di 200 ore.
Successivamente, l’aspirante mediatore dovrà sottoporsi ad una prova finale, con una parte teorica (della durata non inferiore a 4 ore) e pratica (della durata non inferiore a 6 ore), ove dovrà dimostrare di aver acquisito “piena padronanza delle competenze tecnico-pratiche e delle specifiche abilità acquisite nel percorso formativo effettuato”, ad esempio, con una “sensibilità specifica per i peculiari ambiti applicativi della giustizia riparativa, tra cui quelli relativi ai reati più gradi o commessi in contesti di criminalità organizzata o altresì con vittime minorenni o altrimenti vulnerabili”.
Una volta ottenuto il titolo di mediatore penale, costui sarà tenuto a adempiere all’obbligo della formazione continua annuale, per un totale di 60 ore.
All’aspirante mediatore penale spetterà, quindi, un carico di ben 680 ore di studio e tirocinio prima di poter far richiesta di accesso all’albo dei mediatori esperti.
3. L’ispirazione dalla mediazione penale minorile?
Anche se l’istituto della mediazione, in prima battuta, sembra essere lontano dal mondo penale, in realtà, nell’ambito di quello minorile, è già presente a partire dagli anni ’90, con un suo possibile ricorso sia in fase pre-processuale sia in quella processuale, comportando una riduzione della durata della pena, favorendo il recupero del minore e migliorando il contatto tra la vittima e l’autore del reato, in un’ottica riparativa.
L’istituto della mediazione penale minorile è riconosciuto tramite il ricorso, ad esempio, agli
artt. 9 e
28 del
D.P.R. n. 448 del 1988 che disciplina il processo penale minorile.
L’art. 9 dispone, infatti, che “il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne, al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili”, lasciando spazio all’applicazione della mediazione nella fase pre-processuale.
Si tratta di un importante passaggio che consente al minore, ancora durante la fase delle indagini preliminari, di fuoriuscire dall’impianto penale, ad esempio, tramite il perdono giudiziale.
Durante la fase processuale, si potrà, invece, fare ricorso all’art. 28 del D.P.R. n. 448/1988, prevedendo la sospensione del processo con messa alla prova che può essere disposta dal giudice allorquando affidi il minore ai Servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, per lo svolgimento di un programma di osservazione, trattamento e sostegno, per accertare la personalità del minorenne all’esito della prova. In caso di prova effettuata con successo, il giudice dichiara con sentenza l’estinzione del reato.
Nell’ambito della mediazione penale minorile, questa ha avvio con un incontro del mediatore, 1:1, rispettivamente, con la vittima e con il reo, al fine di raccogliere il loro consenso e comprendere le loro aspettative, per poi passare a successivi colloqui diretti tra le due parti interessate, al fine di ricercare un punto d’incontro tra le stesse.
4. Conclusioni
Come si evince dalle già indicate considerazioni, la volontà legislativa è stata quella di dar vita alla figura del mediatore penale, con un apprezzabile e forse eccessivo (viste le lungaggine processuali italiane) onere conoscitivo e di pratica, di 680 ore, oltre a quello della formazione continua.
Peraltro, un dato che porta a far riflettere è quello contenuto nell’art. 9 del D.M. 9 giugno 2023, ove, tra i requisiti soggettivi e di onorabilità, al primo comma, è previsto che i soggetti che chiedono l’inserimento nell’elenco dei mediatori esperti devono, peraltro, non essere iscritti all’albo dei mediatori civili, commerciali o familiari.
C’è da chiedersi quale sia stata la voluntas legislativa sottostante tale decisione di voler emarginare il mediatore penale dalla categoria dei mediatori civili, commerciali o familiari, quasi a voler creare una separazione di serie tra la categoria dei primi e quella dei mediatori penali, i quali, invece, ancora estranei al mondo della mediazione avrebbero potuto essere affiancati dai colleghi già operanti nell’ambito civile, commerciale e familiare, per poter apprendere, in maniera più celere, gli strumenti per poter operare al meglio tale ruolo.
Soltanto il tempo potrà fornire risposta rispetto a tale quesito e alle perplessità circa il lungo iter che l’aspirante mediatore penale dovrà percorrere, altamente controproducente rispetto all’attuale carico giudiziario da smaltire.