La tutela penale della moneta invisibile: il divieto di emissione abusiva di moneta elettronica
Il divieto di emissione abusiva di moneta elettronica (art. 131-bis T.U.B.): l’impianto protettivo di natura penale della moneta invisibile
- Introduzione
- Il background comunitario: le Direttive 2000/46/CE e 2000/28/CE
- L’attuazione italiana dei dettami comunitari: la Legge 1° marzo 2002, 39 e il D. Lgs. 16 aprile 2012, n. 45
- La disciplina dell’art. 131-bis T.U.B.
- Conclusioni
Introduzione
Moneta digitale, moneta elettronica, criptovalute e “borsellini” elettronici rappresentano, ormai da anni, il chiaro segnale di come la tradizionale moneta metallica e la consueta banconota abbiano perso molto del proprio interesse; non risulta, invero, essere un mistero come il progressivo processo di digitalizzazione abbia impattato anche il settore economico, bancario e finanziario, con ripercussioni, altresì, sul profilo penale.
In materia, il focus di questo breve approfondimento vuole essere proprio il reato, previsto e punito dall’art. 131-bis del Testo Unico Bancario (D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 385) di emissione abusiva di moneta elettronica in violazione della riserva ex art. 114-bis, senza essere iscritto nell’albo di cui all’art. 13 o in quello previsto dall’art. 114-bis, comma 2.
Il background comunitario: le Direttive 2000/46/CE e 2000/28/CE
Prima di approfondire il dettato della disposizione di cui all’art. 131-bis T.U.B., si reputa necessario delineare brevemente il background che ha preceduto l’introduzione della fattispecie di reato in esame.
Bisogna, innanzitutto, menzionare la Direttiva 2000/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 settembre 2000, riguardante l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che, all’art. 1, par. 3, lett. b), ha definito quale “istituto di moneta elettronica”, qualsiasi impresa ovvero altra persona giuridica diversa dagli enti creditizi di cui all’art. punto 1, comma 1, lett. a), della Direttiva 2000/12/CE (del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 marzo 2000 relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio), che emetta mezzi di pagamento sotto forma di moneta elettronica.
Sul punto, deve ricordarsi come la Direttiva 2000/28/CE del Parlamento e del Consiglio, sempre del 18 settembre 2000, abbia novellato la precedente Direttiva 2000/12/CE, estendendo, all’art. 1, la qualifica di “ente creditizio”, altresì, all’istituto di moneta elettronica.
L’attuazione italiana dei dettami comunitari: la Legge 1° marzo 2002, n. 39 e il D. Lgs. 16 aprile 2012, n. 45
Al fine di dare attuazione alle sopracitate Direttive 2000/46/CE e 2000/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, entrambe datate 18 settembre 2000, in materia di istituti di moneta elettronica, al T.U.B., l’art. 55 della Legge 1° marzo 2002, n. 39, recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2001”, ha previsto, dopo il Titolo V, il Titolo V-bis in tema di “Istituti di moneta elettronica” introducendo, a titolo esemplificativo, gli artt. 114-bis (“Emissione di moneta elettronica”), 114-ter (“Autorizzazione all’attività e operatività transfrontaliera”), 114-quater (“Vigilanza”) e, appunto, l’art. 131-bis in tema di abusiva emissione di moneta elettronica; disposizione, poi, oggetto di modifica dall’art. 2, comma 3, del D. Lgs. 16 aprile 2012, n. 45, in tema di “Attuazione della direttiva 2009/110/CE, concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga le direttiva 2000/46/CE”.
La disciplina dell’art. 131-bis T.U.B.
L’art. 131-bis T.U.B. ha previsto la punibilità di chiunque emetta moneta elettronica, senza essere previamente iscritto nell’albo bancario o nell’albo degli istituti di moneta elettronica, con la pena della reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa da 2.066 euro a 10.329 euro.
Per quanto riguarda i soggetti attivi, potranno essere individuati in tutti quei soggetti, facenti capo a banche o istituti, non previamente iscritti negli appositi albi, con innesco di un procedimento di responsabilità penale delle persone giuridiche.
Circa la condotta, la norma non risulta fornire delucidazioni in relazione all’emissione di moneta elettronica: in un’ottica di offensività anticipata, potrebbe coincidere con il primo atto di emissione abusiva precedente la fase del caricamento del valore monetario su un determinato dispositivo oppure, ai fini dell’effettiva consumazione della fattispecie illecita, dovrebbe essere necessario attendere il completamento dell’operazione di caricamento con disponibilità della valuta elettronica.
Ebbene, se in prima battuta la norma si presenta come sintetica e poco espressiva, ad un’analisi più attenta della disposizione in esame – alla luce, altresì, di quelle immediatamente precedenti – si può constatare come l’art. 131-bis punisca, a differenza delle altre aventi ad oggetto l’attività e la condotta di emissione, il singolo evento e, pertanto, la singola operazione di emissione abusiva.
Con riferimento, poi, al profilo psicologico, questo deve individuarsi nel dolo generico da parte del soggetto agente, ovvero nella volontà e nella consapevolezza del già indicato di emettere abusivamente e, quindi, senza i requisiti previsti dalla norma, moneta elettronica.
Conclusioni
La scelta del legislatore di recepire i dettami comunitari ha trovato il proprio fondamento nell’esigenza di attribuire un maggiore grado di strutturazione, di standardizzazione e di armonizzazione al mondo bancario e finanziario, al preciso scopo di ridurre gli episodi di abusivismo, in un’ottica di trasparenza, correttezza e sicurezza del mercato, della concorrenza e della clientela, anticipando, pertanto, la punibilità ad una fase ove la fattispecie illecita non ha ancora arrecato pregiudizio.
L’aver, poi, ricondotto alla sfera penale la tutela del tipizzato esercizio di emissione di moneta elettronica, con la previsione di specifici criteri in capo agli emittenti con un iniziale sbarramento, ovvero l’iscrizione in appositi albi o elenchi, ha rappresentato l’obiettivo principale di una politica di preclusione o – quanto meno – di contenimento di illeciti fenomeni nell’ambito del mercato finanziario, con un maggior controllo da parte della Banca d’Italia verso i movimenti economici (es. riciclaggio) e i soggetti emittenti, regolamentando ciò che, fino ad allora, aveva rappresentato una profittevole zona d’ombra.