Le modifiche della riforma Cartabia
Il nuovo comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p., l’obbligo di motivazione per il danneggiato dal reato, l’equiparazione della costituzione di parte civile con l’atto di citazione civile
Produttività giudiziaria.
Con queste due parole potremmo descrivere, senza alcun dubbio, il fil rouge della riforma Cartabia, portata avanti con profonda convinzione dall’omonimo Ministro, nonostante le innumerevoli critiche sotto plurimi aspetti, per lo più, organizzativo-sostanziali.
Se numerose sono state le modifiche apportate al processo penale, molte sono state anche le implicazioni rispetto al giudizio civile, portando ad una loro stretta correlazione.
1. Il nuovo comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p.: la creazione di un giudizio ibrido
Come si evince dalla Relazione illustrativa al D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in materia di “[a]ttuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, al fine di contrastare l’eccedente prolungamento del giudizio penale, la riforma Cartabia è intervenuta modificando, peraltro, l’art. 573, primo comma, c.p.p., eliminando il riferimento ai “soli” interessi civili e stabilendo come “[l]’impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale”.
La novella più rilevante si è, tuttavia, avuta con il successivo primo comma bis, aggiunto alla stessa disposizione, secondo il quale “[q]uando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”.
2. Il nuovo obbligo di motivazione incombente sul danneggiato dal reato
Il già esposto intervento ha comportato una rimodulazione anche delle formalità della costituzione di parte civile, di cui all’art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p., secondo cui, ad oggi, “[l]a dichiarazione di costituzione di parte civile è depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza e deve contenere, a pena di inammissibilità”, peraltro, “l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili”.
Pochi termini che hanno aperto profondi scenari interpretativi rispetto alla sostanza della c.d. causa petendi; scenari, questi, che come solitamente accade, vengono lasciati dal legislatore nelle mani della magistratura operante, ritenuta responsabile, nel caso di specie, del compito di definire, al meglio, il contenuto indispensabile del “nuovo” atto di costituzione di parte civile, onde evitare la sanzione dell’inammissibilità.
In questo senso, la costituenda parte civile viene onerata dell’obbligo di formulare le proprie richieste restitutorie e risarcitorie, offrendo un’argomentazione chiara, precisa e puntuale.
Se, in prima battuta, sembrava che la disposizione in questione potesse comportare uno stravolgimento del previgente assetto, in realtà già nella precedente formulazione dell’art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p. prevedeva l’onere motivazionale, a pena di inammissibilità della domanda giudiziale avanzata.
Ad ogni modo, però, sul piano interpretativo, l’aggiunta delle parole “agli effetti civili” è stata vista, da taluni, in un’ottica di mera puntualizzazione sul piano terminologico, al fine di ottenere una maggiore scrematura della costituzione di parte civile, contrariamente ad un altro orientamento che ha ravvisato in tali termini quasi un nuovo onere per il danneggiato, assimilando l’atto di costituzione di parte civile all’atto di citazione proposto in ambito civilistico, ex art. 163 c.p.c.
3. L’equiparazione della costituzione di parte civile con l’atto di citazione civile
Con la sentenza del 25 marzo 2023 (dep. 21 settembre 2023) n. 38481, Pres. Cassano, rel. Andreazza, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute sul tema, in quanto chiamate a decidere rispetto all’applicabilità o meno dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. ai vari ricorsi pendenti in occasione dell’entrata in vigore della norma in questione ovvero a quelli proposti verso le sentenze pronunciate dopo tale momento.
Nel decidere rispetto a tale questione, le Sezioni Unite hanno dovuto, altresì, approfondire le finalità sottese alla modifica dell’art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p.
In tale occasione, gli Ermellini constatavano, come sopra esposto, la presenza di due diversi orientamenti: il primo, più semplicistico, che riteneva come la modifica fosse solo di carattere terminologico ed un secondo, ad avviso del quale la novella implicava un accertamento diverso rispetto a quello svolto in sede penale, con una vera e propria translatio iudicii (una volta valutata l’ammissibilità del gravame da parte del giudice penale) dinanzi al giudice di rinvio competente con un giudizio svolto secondo le tradizionali disposizioni civilistiche.
Proprio a quest’ultimo filone di pensiero, le Sezioni Unite ritenevano di aderire, affermando la necessità, per la costituzione di parte civile di rispettare le regole processual-civilistiche dell’atto di citazione, per l’appunto, di natura civilistica.
Tale pronuncia ha avuto estrema rilevanza, avendo dissolto ogni dubbio interpretativo rispetto alla corretta applicazione della novella legislativa.
Con la nuova disciplina, la causa petendi dovrà, quindi, trovare una precisa determinazione, secondo le forme prescritte per la domanda proposta nel giudizio civile, non essendo più sufficiente “fare riferimento all’avvenuta commissione di un reato” ma dovendosi “richiamare le ragioni in forza delle quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa” (sul punto, le Sezioni Unite richiamano da una risalente e poi superata decisione della stessa Corte, Cass., sez. 2, n. 8723 del 07 maggio 1996, Schiavo, Rv. 205872-01).
Sarà, pertanto, indispensabile che le ragioni della domanda vengano illustrate secondo quanto disposto dall’art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c. con un’esposizione chiara e specifica delle medesime, non essendosi tradotta, la specificazione di cui all’art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p., in un semplice “aggiustamento cosmetico” bensì “nella necessaria proiezione, sul piano della domanda civile, della mutata regolamentazione della impugnazione della sentenza agli effetti civili”.
4. Conclusioni
In conclusione, se, antecedentemente alla riforma Cartabia, l’impugnazione ai soli effetti civili veniva ad essere decisa dal giudice del giudizio penale ove era stata esercitata l’azione civile, ad oggi si assiste ad una maggiore correlazione ma, al contempo, ad una stretta divisione tra i due giudizi.
Invero, una volta che il giudice penale ha accertato la non inammissibilità dell’impugnazione medesima, proposta nelle forme ordinarie del giudizio penale, questa verrà attratta al campo civile, non seguendo alcun ulteriore vaglio di ammissibilità dell’atto di costituzione di parte civile in capo al giudicante civile di rinvio.
La singolarità del giudizio, quasi ibrido, che ne deriva è da ravvisare anche in quanto disposto dall’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. circa la disciplina di utilizzazione delle prove, dal momento che “[q]uando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”.
In sostanza, continuano ad essere impiegate, nell’ambito del giudizio civile, le prove già acquisite in sede penale e, parimenti, convergono nel medesimo giudizio le prove eventualmente acquisite nel giudizio di rinvio ovvero in quello civile.
La novità più rilevante deve, sicché, identificarsi nella necessità sia per l’avvocato penalista di acquisire, laddove non ancora possedute, specifiche competenze procedurali, dottrinali e giurisprudenziali in ambito civile, al fine di elaborare un adeguato atto di costituzione di parte civile che possa positivamente passare il vaglio di ammissibilità da parte del giudice penale, con un’esposizione analitica e rigorosa della causa petendi, sia per il giudicante penale di altrettante specifiche competenze civili per valutare adeguato, rispetto ai requisiti sostanziali civili, l’atto di costituzione di parte civile.
Un quesito, inoltre, sorge spontaneo: nell’eventualità in cui il giudice penale non abbia svolto un’adeguata attività di accertamento e di conformità rispetto ai criteri di cui all’art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c., con un apparente vaglio di ammissibilità positivo, il giudice civile non pare avere facoltà di esprimersi rispetto a tale possibile forma di “incompetenza”.
Sarà fondamentale, in tal senso, monitorare il contenuto delle future decisioni di legittimità, in osservanza dei dettami delle presenti Sezioni Unite, onde comprendere il tipo di direzione che verrà ad assumere tale equiparazione tra i due atti ed il confine di tolleranza che verrà, eventualmente, ad essere adottato dal giudice penale in caso di un atto di costituzione di parte civile, non propriamente conforme ai requisiti sostanziali e più generici di cui all’art. 163, comma 3, n. 4 c.p.c.