Una testimonianza drammatica che viene da Siracusa, ma che porta a riflettere su un problema più vasto, comune a tante donne. La protagonista di questo caso, che definiremmo esemplare per esplicare il rapporto tra stalking e legge, è una giovanissima: si chiama Simona e, per anni, ha vissuto un inferno. È tra le pochissime sopravvissute allo stalking, benché rimasta ancora senza giustizia. E lo dice lei stessa: «Sarò stata ingenua, ma non merito questo». La sua storia ci porta a meditare, appunto, su un tema ricorrente: perché è tanto difficile avere giustizia contro il reato di stalking?
Il racconto
Chi è Simona
Che cosa è accaduto? Ricostruiamolo insieme.
Lo stalker in questione è un uomo di mezza età, suo concittadino, conosciuto per caso in un locale pubblico. Un’amicizia come tante: niente che lasciasse pensare ad un epilogo simile. Qualche anno dopo, però, qualcosa cambia. Mentre lui si sposta negli States per lavoro, invita l’amica a raggiungerlo. Alle spese ed all’alloggio provvederà lui, le dice al telefono. «La prima volta ho rifiutato. Non volevo lasciare la mia famiglia, e poi speravo di trovare un’occupazione qui».
I mesi passano, però, e di lavoro per lei non c’è traccia. Poche settimane più tardi, a seguito dell’ennesimo invito, decide di provare la carta americana. «Per fortuna avevo il biglietto di ritorno in tasca. Sono rimasta un mese e condividere la casa con lui e, da subito, è stato tutto molto difficile».
«Il suo comportamento è improvvisamente cambiato», spiega Simona. «Era morboso, con attenzioni soffocanti. Mi era sempre addosso: dove ero io, c’era lui».
Simona non resiste. Lascia il lavoro negli States e torna a Siracusa, dopo una tappa di lavoro – anche questa poco fortunata – a Malta. Il suo “amico” la rintraccia ancora. E lei parla chiaro. «Credo di essere stata gentile nel dire no: “Meglio se restiamo amici”». Quel rifiuto dà il via a quello che per Simona è «un inferno».
Sul suo cellulare si moltiplicano gli sms. Sembrano quelli di un innamorato deluso, fin quando non cominciano le minacce. Prima vaghe, poi sempre più chiare. Minacce di morte, con riferimento a pistole ed amici. I tabulati parlano chiaro.
Simona presenta le prime denunce: scopre che l’uomo, in passato, avrebbe avuto lo stesso comportamento con almeno altre due giovani.
Lei prova in ogni modo a uscirne. Non solo continua a denunciare, ma cambia subito il numero di telefono. Lui, però, la rintraccia su Facebook. Centinaia di messaggi con insulti, allusioni sessuali e ancora minacce.
«E non si è limitato a questo», dice. «Ha iniziato a contattare i miei amici, raccontando storie sul nostro conto. Tutte false. Mi ha descritta come una prostituta: con loro, in giro per la rete, in città». Non contento, ha persino creato profili falsi di lei su Facebook, con sue foto rubate da quello vero. «Qualcuno ci ha creduto: ancora mi contattano chiedendo prestazioni. Assurdo».
Per lungo tempo ha ricevuto anche regali anonimi davanti alla porta di casa. «Rossetti, anelli, tovaglie e fiori». Poi, sono arrivati i fiori. Rose rosse, in un primo momento. In seguito, crisantemi. Dal segno dell’amore, ai fiori dei defunti. «Sei già morta», le scrive in un messaggio. Poi un secondo sms simile, e un terzo: in tutto, sei pagine di tabulati con messaggi del genere.
Oltre al danno, la beffa
Com’è finita la storia di Simona? Non bene, purtroppo. Eppure, alle forze dell’ordine, si è rivolta eccome: sei denunce per atti persecutori. In Questura, ormai, la conoscono bene. Ma non si può far molto, dicono.
Allo stalker è stata applicata solo la misura cautelare dell’obbligo di firma. In cambio di tutto questo, Simona ha ricevuto una denuncia per insolvenza fraudolenta. «Mi ha accusata di avergli rubato soldi. Ha chiesto più volte indietro quelli che ha speso per il biglietto di viaggio in America. Ma l’invito me lo ha fatto lui stesso, lui mi ha detto “Vieni, ci penso io”. Io non ho chiesto nulla», si difende lei.
Le minacce non sono mai finite. Una volta l’ha rincontrato. Una casualità, in un bar. Ed è finita con una colluttazione tra lo stalker e uno degli amici di Simona. «Da mesi limito i miei spostamenti, non esco di casa se non sono accompagnata. Ho paura», conclude. «La mia vita è cambiata. Voglio che questa storia finisca».
Stalking, perché è tanto complicato ottenere giustizia
Stando ai più recenti report internazionale sullo stalking, pochi stalker vengono arrestati e ancor menoperseguiti. Di circa 40% dei casi di stalking denunciati alla polizia, solo un quinto delle vittime sporge denuncia. Una volta denunciato alla polizia, solo l’8% degli autori di stalking viene arrestato.
Patrick Brady, esperto mondiale del settore, specializzato nella ricerca sui dati sullo stalking, ha spiegato che questo è un «crimine relativamente nuovo» e, perciò, le statistiche sono limitate». Lo stesso, non a caso, accade anche in Italia. «Lo stalking è uno dei pochi reati che criminalizza i comportamenti legali. Non è illegale inviare a qualcuno 12 dozzine di rose ma, se lo si guarda nel contesto di una situazione di stalking, potrebbe diventare illegale». I PM devono dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che è stato commesso un reato e, per Simona, come per tante altre vittime, è stato un dramma senza lieto fine.
Stalking, come avere giustizia
Fatti assistere da un avvocato
Prima di mettere piede nella stazione di polizia, vai al tuo centro di emergenza locale, chiamali e chiedi un avvocato. Un difensore fornisce supporto non giudicante, istruzione e sostegno alle vittime e ai sopravvissuti al crimine. Gli avvocati aiutano le vittime di stalking ad affrontare qualsiasi processo giudiziario e medico, fornendo consulenza e aiutandole a ottenere un risarcimento.
Avere un avvocato accanto a sé è fondamentale. Il nostro sistema non è impostato affinché una persona comune possa capire i propri diritti. Solo un legale può farlo e può aiutarti davvero.
Interagisci con le forze dell’ordine
«Le vittime non dovrebbero mai sentirsi un peso, quando contattano le forze dell’ordine. L’obiettivo principale di un agente che risponde a una chiamata di soccorso è lasciare che la vittima racconti la sua storia.
Più informazioni è in grado di fornire una vittima, più forte diventa il suo caso, anche se queste vengono date più avanti nelle indagini. Come per i traumi, le cose tendono a essere dimenticate. Quindi, man mano che affiorano i ricordi, le vittime devono dire tutto quanto rammentano, specie in caso di aggressione sessuale o violenza domestica. L’importante è annotare e portare alla polizia una linea temporale chiara degli eventi, per rendere le forze dell’ordine più propense a prendere sul serio il caso. Lo stalking, infatti, è uno dei pochi crimini in cui l’onere della raccolta e della conservazione delle prove ricade sulla vittima.
Occorre tempo, come abbiamo visto, prima che la polizia riesca eventualmente ad istruire un caso. Ad esempio, è necessaria l’approvazione di un giudice affinché la polizia agisca su un mandato di perquisizione o di arresto, che deve avere un motivo abbastanza probabile da consentire a un PM di esaminarlo, firmarlo e inoltrarlo in anticipo a un giudice.
Non lasciarti fermare, inoltre, quando la polizia non procede, nonostante la tua denuncia. Se è vero, infatti, che la maggior parte delle vittime di stalking afferma che la polizia ha preso provvedimenti una volta contattata, quasi un sopravvissuto su cinque dichiara – stando agli ultimi dati – che le forze dell’ordine non hanno intrapreso alcuna azione. Ciò accade, soprattutto, alle vittime di colore, extracomunitarie o comunque straniere, che tendono a evitare di rivolgersi alle forze dell’ordine per esperienze negative passate e paura di subire ingiustizie. In questi casi, i sopravvissuti sono doppiamente vittime: del reato e del trauma che provoca il fatto di non essere prese sul serio. Ma non bisogna fermarsi.