Il lavoro come alternativa alla scuola. Ma non alla vita, come per Lorenzo
Un progetto nato per ridurre la distanza fra i banchi di scuola e il posto di lavoro: questo lo spirito alla base dell’“alternanza scuola-lavoro”, prevista da “La Buona Scuola” nel 2015. È una metodologia didattica obbligatoria per tutte le studentesse e gli studenti degli ultimi tre anni delle scuole superiori, licei compresi. Oggi la definizione corretta è “Pcto”: “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento”. Obiettivo: alternare, appunto, la formazione scolastica con quella in azienda per avvicinare i giovani al mondo del lavoro, orientarli e promuovere il successo scolastico.
Ma la morte di Lorenzo Parelli, 18 anni appena compiuti, ha riaperto il dibattito su questa metodologia. Lorenzo frequentava l’Istituto superiore Bearzi di Udine, sui cui banchi, di lì a pochi giorni, sarebbe tornato. L’esperienza nell’azienda di carpenteria metallica, Burimec di Lauzacco, si è conclusa invece nel modo più tragico, con una grossa trave di metallo che gli è caduta addosso, uccidendolo all’istante. Una morte che ha scatenato proteste in molte città d’Italia, dove gli studenti sono scesi in piazza contro quello che definiscono uno sfruttamento. Gli studenti chiedono tutele e investimenti dentro e non fuori dalle scuole, per migliorare gli ambienti scolastici, eliminando ad esempio le classi-pollaio, aumentando gli organici, attrezzando laboratori e aule e aggiornando gli strumenti. Non si migliora la scuola allontanando dall’istruzione, è la tesi di chi protesta.
Gli studenti insomma non ci stanno: Lorenzo e tanti coetanei sono di fatto utilizzati dalle aziende per stage gratuiti, senza l’opportuna supervisione che luoghi di lavoro a così alto rischio richiederebbero. L’Unione degli Studenti rivendica, da anni, le segnalazioni di situazioni ritenute inaccettabili e di insicurezza, e denunciano di non essere mai stati ascoltati seriamente. Chiedono l’apertura di un tavolo ministeriale e continuano denunciando “l’idea di una scuola pubblica unicamente volta a formare lavoratori in grado di sottostare a logiche aziendalizzanti. Non si può considerare didattica ciò che sfrutta, ferisce e uccide” si legge in una nota del movimento. Ecco perché, è il senso delle richieste che arrivano dai diretti interessati, è urgente una rivisitazione del quadro di riferimento. L’alternanza scuola-lavoro nei licei è formalmente inutile, denunciano gli studenti: quel che va rafforzato, è la loro tesi, è l’offerta didattica per indirizzare i giovani verso l’università o il mondo del lavoro. Quanto agli istituti tecnici, i movimenti studenteschi accusano le aziende di non rispettare i canoni di sicurezza: gli studenti sono abbandonati a loro stessi, senza supervisione e senza che siano adottate le dovute cautele. E la morte di Lorenzo è il tragico epilogo di questa situazione.
I sindacati si uniscono al coro degli studenti, seppur con posizioni diverse: la Flc Cgil chiede di abolire l’obbligatorietà dell’esperienza lavorativa, mentre i Cobas spingono per l’abolizione dei percorsi scuola-lavoro già nell’anno in corso.
Il comun denominatore di studenti, sindacati e mondo della scuola è senz’altro la richiesta di maggiori tutele, la messa al bando di ogni forma di sfruttamento, l’incentivazione dei tutor, oltre che un rimborso per i ragazzi che utilizzano i mezzi pubblici per raggiungere i luoghi di lavoro.
Quel che è certo è che per garantire un processo sano, il punto di partenza è un’analisi dei dati che possa portare alla predisposizione di un albo di aziende certificate sulla base di requisiti oggettivi di sicurezza.
“Mio figlio è uscito per andare a scuola e non è più tornato”: le parole della mamma di Lorenzo arrivano al cuore di tutti e accendono tanti interrogativi a tanti. Perché il fenomeno non è di poca portata: sono 1,5 i ragazzi in Pcto. Frequentano almeno 180 ore negli istituti professionali (erano 400 prima della riforma), almeno 150 nei tecnici (dalle precedenti 400) e almeno 90 nei licei (dalle precedenti 200). Per avere un parametro di riferimento all’era pre-Covid, basti pensare che nove ragazzi su dieci hanno frequentato un Pcto. L’anno seguente si è scesi al 64,2%, causa Covid, che ha determinato la sospensione dei percorsi. Nel 2021 la ripresa, con l’85,6% degli studenti di quinta che ha partecipato ai percorsi. Di questa platea, quattro studenti su dieci hanno seguito il percorso in collaborazione con imprese, senza morti e con un numero molto limitato di incidenti. A fare i conti è stato Ilfattoquotidiano.it, che ha raccolto i dati di sette regioni (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia). È emerso ad esempio che su 3500 stage attivati in Veneto, gli incidenti registrati nell’anno scolastico 2020-2021 sono stati solo cinque; solo due nella provincia autonoma di Bolzano, sul totale dei 976 allievi in stage. Per i casi più gravi bisogna risalire più indietro nel tempo. Si ricorda allora il 17enne di Genola (Cuneo), finito in terapia intensiva il 4 febbraio del 2020 dopo essere stato travolto da una cancellata in ferro. L’anno prima, a un coetaneo, era stata amputata una falange a causa di un incidente mentre lavorava in un’officina meccanica vicino a Prato. Tornando un po’ più indietro non si può non ricordare lo studente di La Spezia con frattura alla tibia dopo essere rimasto schiacciato da un muletto. Infine, il 21 dicembre 2017 a Faenza, il braccio meccanico di una gru ha ceduto e un 18enne si è fratturato le gambe.
Sul ridotto numero di incidenti fa leva chi sostiene e rivendica l’efficacia e l’importanza del progetto di alternanza scuola-lavoro. Se si sceglie di seguire un certo percorso per la propria formazione, è il ragionamento dei dirigenti scolastici, non si può non frequentare un’azienda o un laboratorio. Vedere come si fa quel lavoro è parte integrante dello studio. A patto che il lavoro non si trasformi in un sacrificio fatale, come accaduto a Lorenzo. Ad appena 18 anni.