Il ruolo dei genitori nell’educazione religiosa del minore
Il diritto di libertà religiosa nella realtà familiare: la responsabilità genitoriale e l’interesse del minore
- Introduzione
- Il riconoscimento della tutela educativa religiosa del minore: l’analisi dell’ordinamento giuridico italiano
- L’autodeterminazione religiosa del minore: le più importanti pronunce di merito e di legittimità
- Lo scenario europeo ed internazionale sull’interesse del minore
- Conclusioni
- Introduzione
All’interno della realtà familiare, il diritto di libertà religiosa trova la propria espressione in plurimi profili, aventi ad oggetto l’autonomia dei membri appartenenti al nucleo, il rapporto tra i coniugi nonché il diritto ed il dovere, in capo ai genitori, di educare la prole, anche sotto l’aspetto religioso.
Al fine di assicurare una corretta applicazione dei principi sottesi ai sopracitati aspetti, sarà indispensabile operare un bilanciato contemperamento tra i diversi interessi dei diversi componenti familiari e, soprattutto, del minore.
Sarà, pertanto, essenziale il ruolo rivestito da parte dei genitori, congiuntamente responsabili dell’indirizzo educativo della prole, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni della medesima.
Come ci dimostra la giurisprudenza e, in casi avversi, anche la cronaca, non sempre i genitori sono in grado di perseguire l’interesse del minore, lasciandosi influenzare dai propri convincimenti, sfociando in condotte lesive, non solo della personalità, ma altresì della fisicità della stessa prole.
- Il riconoscimento della tutela educativa religiosa del minore: l’analisi dell’ordinamento giuridico italiano
Con il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, ai sensi dell’art. 2 Cost., è stato inteso attribuire a tale disposizione un significato ad ampio contenuto, finalizzato alla costituzionalizzazione del diritto del minore ad una corretta esistenza, attraverso un adeguato percorso educativo.
Tale diritto si estrinseca come la corretta pretesa, in capo al minore, di sviluppare una personalità autonoma, capace e libera di determinarsi, secondo i propri valori, credenze ed aspirazioni naturali.
A tal proposito, non può non richiamarsi anche il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., dal momento che il minore, seppur non ancora raggiunta la maggiore età, presenta eguali diritti, anche in ambito di libertà religiosa, degli altri cittadini maggiorenni.
Guardando, poi, alle altre disposizioni che hanno, seppur implicitamente, cristallizzato il dovere genitoriale di rispettare lo sviluppo della personalità del minore, anche in tema di convincimento religioso, si deve rilevare (senza alcuna pretesa di esaustività) quanto segue.
Se l’art. 30 Cost. ha stabilito il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire e educare i figli, l’art. 147 c.c. ha previsto il dovere di tener contro della capacità di inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli, proprio al fine di garantire il pieno rispetto degli interessi della prole ed il loro percorso di crescita.
A seguito della riforma introdotta dalla Legge 19 maggio 1975, n. 151, l’ordinamento giuridico italiano ha posto in primo piano la tutela del minore, in rapporto ai suoi bisogni di crescita, ad un adeguato livello di educazione ed istruzione, al fine di un corretto sviluppo della sua personalità; tutela che è stata, dopo quasi quarant’anni, oggetto di un successivo rafforzamento, tramite la Legge 10 dicembre 2012, n. 219, che ha unificato lo status giuridico dei figli naturali e legittimi.
La Costituzione, oltre a prevedere il diritto-dovere per i genitori di educare i figli, vieta, all’art.19, ogni discriminazione legata ai convincimenti religiosi, assicurando a ciascuno il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso, o di non professarne alcuno, ovvero il diritto di farne propaganda e di esercitarne il culto, a condizione che non si tratti di riti contrari al buon costume.
Nell’ambito familiare, possono crearsi delle situazioni ove l’orientamento religioso dei due genitori differisce o nelle quali uno di questi ha cambiato le proprie credenze religiose, con possibilità di contrasti in merito all’educazione religiosa della prole, soprattutto se in una fase ancora primordiale della sua crescita, non ancora contraddistinta da una sufficiente capacità di discernimento.
Nella sopracitata Riforma del diritto di famiglia, non è possibile rinvenire alcun riferimento all’educazione religiosa tantomeno precisi criteri da applicare al fine di risolvere le variegate questioni che possono sorgere, in caso di conflitti tra genitori o tra questi e i figli, per la determinazione degli indirizzi educativi religiosi riconducibili ai medesimi.
Tale situazione ha portato la giurisprudenza a fare affidamento al “sentire comune” ovvero al “costume sociale”, per sopperire alle mancanze legislative nell’ambito di una maggiore che esula dal campo di conoscenza del giurista ma che sfocia, per lo più, negli insidiosi terreni della filosofia e dell’etica.
Un saldo punto di partenza è stato, senza dubbio, il combinato disposto degli artt. 2 e 30 Cost., congiuntamente all’art. 147 c.c., da cui poteva desumersi come il potere dei genitori, in ambito di educazione religiosa, non dovesse porsi in contrasto con il diritto di libertà religiosa del minore ma quale strumento volto a far compiere al minore medesimo, inteso quale persona e cittadino, una scelta religiosa, contraddistinta da autonomia decisionale, libertà e consapevolezza.
- L’autodeterminazione religiosa del minore: le più importanti pronunce di merito e di legittimità
Successivamente all’introduzione della riforma del ’75, la giurisprudenza di merito (Trib. Min. Napoli, 13 gennaio 1983, in Rass. dir. civ., 1983, 1156) ha affermato come, in caso di contrasto con l’indirizzo educativo dei genitori, sia compito del Tribunale per i minorenni accertare che la preminenza della dignità umana e dello sviluppo della personalità del minore “sia riconosciuta e resa efficace, quando ad essa corrisponda in pienezza all’interesse oggettivamente valutato dal minore stesso, purtuttavia non disattendendo quella “ filosofia di vita” che man mano in esso si va radicando come frutto delle scelte culturali e dell’educazione. In tale giudizio la volontà del minore ha un ruolo significativo, ma non è un dato che si impone astrattamente e genericamente”. La valutazione della meritevolezza dello scopo “è possibile tenendo presenti il ruolo dei soggetti concreti, l’oggetto, la materia in relazione all’ambiente storico sociale, la gerarchia degli interessi”. È stato, invero, osservato come, laddove il comportamento del minore consista in “un processo duraturo del modo di atteggiarsi della personalità, esso appare soggetto ad un doppio giudizio che è diretto ad accettare la capacità di discernimento”, riguardante sia la capacità decisiva che gli aspetti della progettualità del comportamento.
Nel 2012 (Cass. civ., sez. I, 12 giugno 2012, n. 9546), gli Ermellini hanno affermato come potessero essere imposti limiti alle scelte educative dei genitori se finalizzate ad evitare turbamenti nella personalità del minore, avendo dovuto operare una contestualizzazione dell’esperienza religiosa per il minore stesso, valutando il reale significato della religione per il medesimo, soprattutto in base alla propria età.
Tale principio è stato, anche, oggetto di più recente affermazione, da parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. I, 24 maggio 2018, n. 12954), dal momento che “in tema di affidamento dei figli minori, il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative modalità, in caso di conflitto genitoriale, è quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata, sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l’adozione di provvedimenti – quali, nella specie, il divieto di condurre il minore agli incontri della confessione religiosa abbracciata dal genitore dopo la fine della convivenza – contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo”.
Da ultimo, sempre la Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, 30 agosto 2019, n. 21916) ha cristallizzato in una propria ordinanza come “il giudice può adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo solo in seguito all’accertamento in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo. Tale verifica non può che basarsi sull’osservazione e sull’ascolto del minore”.
- Lo scenario europeo ed internazionale sull’interesse del minore
Con uno sguardo allo scenario europeo, deve osservarsi come il principio di libertà religiosa (e, pertanto, di uguaglianza) sia stato oggetto di ampio riconoscimento da parte degli artt. 8, 9 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con un’espressa limitazione di tali diritti solamente dalla legge come misure “necessarie, in una società democratica, per la sicurezza pubblica, la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
Sul punto, deve ricordarsi come, attraverso la Risoluzione n. 1226, adottata dal Consiglio d’Europa il 28 settembre 2000, sia stata riconosciuto il ruolo integrante della giurisprudenza della Corte EDU nell’ambito della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, acquisendo, pertanto, un’efficacia vincolante erga omnes.
Volgendo lo sguardo, invece, al piano internazionale, bisogna rilevare come il Consiglio dei Ministri abbia approvato, con provvedimento del solo 11 agosto 2016, e definitivamente adottato con D.P.R. del successivo 31 agosto, il Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, al fine di introdurre uno strumento d’indirizzo volto a rispondere degli impegni assunti dal nostro Paese in attuazione della Convenzione sui diritti del fanciullo, sottoscritta a New York il 20 novembre 1989, e dei suoi Protocolli opzionali.
- Conclusioni
In conclusione, è possibile affermare, sulla scorta dei brevi cenni sopra operati sullo stato dell’arte legislativo e giurisprudenziale italiano, come l’interesse del minore, in ambito di scelta religiosa, non sia ancora stato oggetto di pieno ed espresso riconoscimento da parte dell’ordinamento, tutt’ora ancorato, seppur implicitamente, ai retrogradi meccanismi dell’abolita potestà genitoriale, con un palese indebolimento della figura del minore, ancora “sottomesso” al volere materno e paterno, con evidenti lesioni della propria personalità emotiva e, nei casi più sfortunati, anche fisica.