A trent’anni da Capaci e via D’Amelio:
coltivare la memoria per rafforzare la società
22 maggio 2022
Un cratere in autostrada
Il 23 maggio 2022 corre il trentesimo anniversario della strage mafiosa di Capaci, che fece cinque vittime – il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro – e ventitré feriti. Giacché sono trascorsi trent’anni, molti giovani italiani non hanno memoria diretta dei fatti, ma tantissimi italiani di una certa età possono dire esattamente dove si trovavano e cosa stavano facendo quando appresero la notizia del clamoroso attentato a Falcone. Perché all’epoca tutti sapevano chi era Giovanni Falcone.
Chi era Giovanni Falcone?
Era il nemico numero uno di cosa nostra: fu il primo a capire davvero com’è fatta la mafia siciliana, il suo funzionamento interno, le gerarchie, i capi e la manovalanza, ma anche i soffocanti legami che è in grado di tessere col ceto politico ed economico per garantirsi profitti e impunità. Chi non lo ha conosciuto, però, non deve figurarsi Falcone come un supereroe solitario. Lui lavorava in squadra, perché una delle più felici intuizioni di quel periodo fu di creare un “pool” di magistrati che avesse una vera forza d’urto, contro il potere mafioso, perché in grado di dispiegare indagini a 360 gradi. Dall’altra parte c’era la sanguinaria mafia siciliana dei primi anni Ottanta, che in soli tre anni, dal 1981 al 1984, fece più di 600 morti per la faida tra i corleonesi Riina e Provenzano e gli opposti palermitani, Bontate, Badalamenti, Inzerillo e Tommaso Buscetta, che scappa in Brasile per sfuggire alla mattanza che gli stava decimando la famiglia con l’intenzione di sottoporsi a un intervento di chirurgia plastica e uno anche alla voce, per cambiare totalmente identità e lasciarsi alle spalle la vita da mafioso.
Il maxiprocesso
Il pool antimafia assunse a base delle proprie indagini il cosiddetto “Rapporto dei 162”: consegnato alla Procura di Palermo il 13 luglio 1982 dal vicequestore Ninni Cassarà, conteneva il primo organigramma completo di cosa nostra. Un lavoro tanto preciso e puntuale che Cassarà pagherà con la vita l’averlo stilato, il 6 agosto 1985, insieme all’agente di polizia Roberto Antiochia. Giovanni Falcone individuò in Tommaso Buscetta l’anello debole della gerarchia mafiosa del momento, quello che stava cercando una via d’uscita, e gliela offrì, Buscetta iniziò a collaborare. Fu così che per la prima volta nella storia 476 esponenti della mafia furono rinviati a giudizio tutti in una volta, per innumerevoli capi di imputazione che comprendevano 120 omicidi, traffico di droga, rapine, estorsioni eccetera, per tutti il reato di associazione mafiosa.
Paolo Borsellino
Il lavoro per istruire il maxiprocesso di Palermo lo fecero in due, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in vacanza forzata nell’ex penitenziario dell’Asinara per motivi di sicurezza, con le rispettive famiglie. La vita professionale dei due fu a lungo legata, e lo fu così strettamente che soli 57 giorni dopo Giovanni Falcone anche Paolo Borsellino venne ucciso dalla mafia con un attentato esplosivo, sotto casa della madre, in via D’Amelio a Palermo. Il 19 luglio 2022 ricorre dunque un altro tragico trentennale, quello di un’altra strage, in cui persero la vita, insieme al magistrato, gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
La memoria come consapevolezza e conoscenza
Per fortuna la memoria di tutti loro è viva nella società italiana, e bisogna fare in modo nel tempo che tale rimanga, e che anzi sia via via più forte e consapevole. Perché la lotta alla mafia non si fa solo nei tribunali coi processi: è piuttosto una scelta di parte e di vita, in cui ciascuno è chiamato a fare la propria. Molti sono oggi i supporti, soprattutto film e serie tv, in cui la vicenda umana e professionale di questi due uomini viene raccontata soprattutto ai più giovani, a parte i molti libri che continuano a pubblicarsi su di loro. Dobbiamo tutti incaricarci di diffondere e preservare la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, perché avevano visto lungo e, non secondariamente, perché hanno dato la vita per il nostro paese.