Dall’auspicio della Consulta per una riforma legislativa al ‘‘caso Marche’’. L’iniziativa dell’Associazione Luca Coscioni: la corsa verso il referendum abrogativo sul reato di omicidio del consenziente
Con la sentenza n. 242/2019, la Consulta assolveva, di fatto, Marco Cappato dall’accusa di “aiuto al suicidio” per aver accompagnato Dj Fabo a morire in Svizzera, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., nella parte in cui non escludeva la punibilità di chi avesse agevolato l’esecuzione del proposito di suicidio, formatosi in via autonoma e libera, di un persona tenuta in vita da trattamenti sanitari e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ancora capace d’intendere e di volere, a condizione di verifica delle condizioni e delle modalità esecutive da parte di una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere positivo rilasciato dal comitato etico territorialmente competente.
Nonostante l’invito della Consulta al Governo di agire quanto prima per una riforma, solamente lo scorso 6 luglio le Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera hanno approvato il testo base della proposta di legge sul “Rifiuto di trattamenti sanitari e sulla liceità dell’eutanasia”.
Pur avendo la pronuncia della Consulta avviato un essenziale processo di modernizzazione, sono emerse ingenti difficoltà attuative rispetto a quanto auspicato dalla Corte costituzionale circa un intervento legislativo, nel breve periodo, idoneo alla modifica legislativa della materia di aiuto al suicidio.
Il recente caso “Marche” ha sollevato le problematiche discendenti dalla pronuncia della Consulta ovvero le criticità applicative di una pratica che risulta, ancora, troppo legata ad un sistema politico, arbitrario e poco costituzionale, con relativa violazione dei diritti fondamentali di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost.
Lo scorso 21 aprile, è stata, infatti, attivata, dall’Associazione Luca Coscioni, una raccolta firme per indire un referendum sull’eutanasia legale, per la parziale abrogazione dell’art. 579 c.p. che punisce l’omicidio del consenziente.
Introduzione
Con la sentenza del 22 novembre 2019, n. 242, la Corte costituzionale assolveva, di fatto, il politico ed attivista Marco Cappato dall’accusa di “aiuto al suicidio” per aver accompagnato Dj Fabo a morire in Svizzera, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., nella parte in cui non escludeva la punibilità di chi avesse agevolato l’esecuzione del proposito di suicidio, formatosi in via autonoma e libera, di un persona tenuta in vita da trattamenti sanitari e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ancora capace d’intendere e di volere, a condizione di verifica delle condizioni e delle modalità esecutive da parte di una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere positivo rilasciato dal comitato etico territorialmente competente.
È evidente come la storica pronuncia della Consulta abbia, da un lato, dato risalto ad un tema già conosciuto da anni e, dall’altro, lasciato aperte svariate questioni, principalmente di carattere bioetico e giuridico, già emerse da tempo.
Solamente un adeguato e successivo intervento legislativo avrebbe potuto offrire una corretta soluzione alle criticità costituzionali, penali, bioetiche e sanitarie riguardanti il tema del “fine-vita”, evitando, così, che gli sforzi realizzati dalla Consulta potessero rimanere un semplice “pezzo di carta” ed evitando così arbitrarie interpretazioni giudiziali.
L’auspicio della Consulta verso una riforma legislativa
Nonostante l’invito formulato dalla Consulta al Governo di agire quanto prima possibile per una riforma della materia in esame, solamente lo scorso 6 luglio (ovvero dopo ormai un biennio dalla celebre pronuncia), le Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera hanno approvato il testo base della proposta di legge sul “Rifiuto di trattamenti sanitari e sulla liceità dell’eutanasia”.
In sostanza, il testo ha previsto la possibilità di ricorrere al suicidio assistito, nel caso in cui la richiesta provenga da un soggetto maggiorenne, capace d’intendere e di volere, affetto da sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, a causa di una patologia irreversibile, di una prognosi infausta o di una condizione clinica irreversibile, tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale ed assistito dalla rete di cure palliative ovvero da un soggetto che abbia espressamente rifiutato tale percorso assistenziale.
Secondo la proposta di legge, la disposizione che sanziona l’istigazione o l’aiuto al suicidio, ai sensi dell’art. 580 c.p., non si applica al personale sanitario e amministrativo che ha dato corso alla procedura di morte volontaria medicalmente assistita, né a chiunque abbia agevolato il malato ad attivare la procedura, a condizione che ciò sia avvenuto in conformità delle disposizioni di legge.
Si è trattato, senza dubbio, di un apprezzabile passo in avanti, anche se non può non segnalarsi come ciò sia avvenuto solo dopo un biennio dalla pronuncia della sentenza della Corte costituzionale ma, soprattutto, a seguito di una molteplicità di Disegni di Legge, il cui esito si è rivelato negativo.
Può essere, a titolo esemplificativo, menzionato il Disegno di Legge d’iniziativa dei senatori Binetti, Gasparri, Quagliarello, Gallone, De Poli, Galliani, Pagano, Modena, Ferro, Saccone, Alderisi, Battistoni, Rizzotti, Aimi, Siclari, Toffanin e Caliendo, comunicato alla Presidenza il 7 agosto 2019 ove, in aggiunta alle modifiche apportate alla Legge n. 219/2017, all’art. 580 c.p., veniva aggiunto un terzo comma, per cui “se il fatto è commesso nei confronti di persona tenuta in vita esclusivamente per mezzo di strumenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile fonte di intollerabile sofferenza, si applica la reclusione da sei mesi a due anni quando l’autore convive stabilmente con il malato e agisce in stato di grave turbamento determinato dalla sofferenza altrui. Non si applicano le disposizioni di cui al secondo comma”.
Nello specifico, i senatori firmatari del succitato Disegno di Legge rilevavano come “il Parlamento appare chiamato a una scelta netta: o la solidarietà nei confronti di chi si trova in una condizione di debolezza, e quindi ha necessità di sostegno per affrontare quella situazione (assistenza domiciliare, hospice, cure palliative…), come indicano la prima e per certi aspetti l’ultima parte del l’ordinanza. Oppure l’aiuto a trovare la morte, facendo sì che una sostanza somministrata costituisca il solo seguito a una richiesta di aiuto spesso disperata di chi versa in quella situazione, seppur la Corte abbia comunque messo in guardia sul fatto che l’autodeterminazione – il consenso – nei casi di persone con gravi patologie è forte mente condizionata da situazione di debolezza. Comunque, i nodi problematici sono di una tale complessità e articolazione, che in nessun modo il Parlamento può accettare un termine capestro per un dibattito serio sul fine vita […]. Ribadita dunque la necessità di rivendi care tutto il tempo necessario al Legislatore per arrivare alla disciplina sufficientemente ponderata e prudente che il Parlamento è chiamato a dare rispetto all’ordinanza della Consulta, va individuata qualche strada praticabile per evitare il giudizio di incostituzionalità dell’articolo 580 del Codice penale e per rispondere alle sollecitazioni della Consulta senza negare la tutela della vita”.
La modifica dell’art. 17 del Codice di deontologia medica
Del tutto incredibilmente, nell’attesa di una riforma legislativa, sulla scorta dei principi contenuti nella sentenza n. 242/2019 emessa dalla Consulta e, in via consequenziale, all’interno della pronuncia assolutoria della Corte d’assise di Milano del 23 dicembre 2019, il 6 febbraio 2020, il Consiglio nazionale della Federazione degli Ordini dei Medici ha approvato, all’unanimità, la modifica dell’art. 17 del Codice di Deontologia medica, intitolato “Atti finalizzati a provocare la morte”, alla luce del nuovo indirizzo applicativo approvato dal Comitato Centrale il 23 gennaio 2020.
Il nuovo art. 17 afferma, invero, come “[i]l medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte. La libera scelta del medico di agevolare, sulla base del principio di autodeterminazione dell’individuo, il proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (sentenza 242/19 della Corte Costituzionale e relative procedure), va sempre valutata caso per caso e comporta, qualora sussistano tutti gli elementi sopra indicati, la non punibilità del medico da un punto di vista disciplinare”.
Dalla lettura di tale disposizione, finalizzata al rispetto dei diritti costituzionalmente tutelati, di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost., emerge un effettivo mutamento della natura del rapporto medico-paziente che, se un tempo, si rivelava essere passivo, ad oggi, diventa attivo finalizzato alla protezione dei diritti fondamentali del paziente, concepito come cittadino e persona.
Il recente “caso Marche”: una conclamata violazione del diritto al suicidio assistito
Una primissima [rectius: disattesa] applicazione dei principi affermati dalla Consulta nel caso “Cappato” è da ricercare nella vicenda che ha coinvolto un 43enne delle Marche, malato tetraplegico da 10 anni, che ha sporto denuncia avverso l’Azienda sanitaria unica regione Marche, contestando il reato di omissione di atti d’ufficio ovvero la mancata verifica, da parte dell’Asur Marche, delle condizioni cliniche dell’uomo, per l’accertamento del suo diritto ad accedere alla pratica di suicidio assistito, così come indicato dalla sentenza della Consulta ed ordinato dal Tribunale di Ancona lo scorso 9 giugno.
In particolar modo, dopo più di un mese di distanza dall’ordinanza del Tribunale, l’Asur Marche non aveva ancora attivato la procedura, il 12 luglio 2021, l’uomo diffidava la stessa, avvertendo come, in caso di silenzio trascorsi oltre 30 giorni dalla ricezione della diffida, avrebbe proceduto nelle sedi opportune; silenzio che costringeva il malato a sporgere denuncia penale.
Nell’agosto 2020, il malato chiedeva all’Asur di verificare la sussistenza delle condizioni enunciate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242/2019 ma, di fronte al diniego ricevuto dalla medesima, l’uomo si rivolgeva all’Associazione Luca Coscioni per ricevere supporto legale ed impugnare tale rigetto.
Dopo una prima decisione con cui il Tribunale di Ancona negava la facoltà per l’uomo di accedere alla pratica del suicidio assistito, lo scorso 9 giugno il Tribunale di Ancona ribaltava la precedente decisione, imponendo con questa ordinanza alla Asur di accertare la sussistenza delle condizioni d’accesso al suicidio assistito.
L’iniziativa dell’Associazione Luca Coscioni: la corsa verso il referendum abrogativo sul reato di omicidio del consenziente
Come da annuncio pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 21 aprile, è stata attivata una raccolta firme per indire un referendum sull’eutanasia legale, avente lo scopo di abrogare parzialmente l’art. 579 del Codice penale che punisce l’omicidio del consenziente.
Nello specifico, il quesito referendario, come riportato nella Gazzetta Ufficiale, recita: “Volete voi che sia abrogato l’art. 579 del Codice penale (omicidio del consenziente) approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole “la reclusione da sei a quindici anni”; comma 2 integralmente; comma 3 limitatamente alle seguenti parole “Sì applicano”?”.
La disposizione rimarrebbe in vigore solo per il caso in cui il fatto sia commesso “contro una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno”.
Le firme per presentare il referendum hanno superato quota 850mila. Un successo ed una partecipazione che ha stupito l’Associazione Luca Coscioni, tanto che, secondo Marco Cappato ideatore dell’iniziativa, il referendum potrebbe tenersi tra aprile e giugno 2022.
Conclusioni
È possibile concludere come, a seguito dei progressi realizzati dalla scienza negli ultimi anni in tema di “fine-vita”, vi sia stata l’apertura di molte questioni giuridiche, mediche e bioetiche che, fino a qualche tempo fa, risultavano quasi fantascientifiche (basti pensare, ad esempio, alla facoltà in capo al malato, capace d’intendere e di volere, affetto da una malattia irreversibile o terminale, di decidere le modalità spazio-temporali della propria morte.
Pur avendo la pronuncia della Consulta sul caso “Cappato” avviato un essenziale processo di modernizzazione, sono emerse ingenti difficoltà attuative rispetto a quanto auspicato dalla Corte costituzionale circa un intervento legislativo, nel breve periodo, idoneo alla modifica legislativa della materia di aiuto al suicidio per tutti quei soggetti affetti da malattie irreversibili o terminali che conservano, tuttavia, la capacità di intendere e di volere circa la propria esistenza.
Nonostante un incrementato ricorso alle cure palliative e alle pratiche di terapia del dolore, all’interno della celebre sentenza, non sono state approfondite le criticità connesse ad un’applicazione, sul piano strettamente pratico, dei contenuti della Legge n. 38/2010.
Da ulteriore, è da segnalare come in Italia sia carente un’informazione di base circa la facoltà per i malati e per i ricoverati nelle strutture ospedaliere nazionali, affetti da determinate patologie irreversibili, di accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore; per non parlare, poi, del testamento biologico, di cui alla Legge n. 219/2017.
Il merito che, ad ogni modo, risulta dalla lettura della pronuncia è l’affermazione di un diritto, in capo al malato, di essere aiutato a morire, pur rimanendo attribuito al medico il diritto di decidere se prestare o meno aiuto al paziente e senza aggiungere altro in materia di modalità esecutive della pratica.
Non risulta essere un mistero come la maggior parte dei farmaci utilizzati per il suicidio medicalmente assistito siano riservati solo alla somministrazione ospedaliera, con l’elevato rischio di mancato rispetto della volontà manifestata dal malato.
Proprio il recente caso “Marche” ha sollevato le problematiche discendenti dalla pronuncia della Consulta ovvero le criticità applicative di una pratica che risulta, ancora, troppo legata ad un sistema politico, arbitrario e poco costituzionale, con relativa violazione dei diritti fondamentali di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost.
La raccolta firme promossa dall’Associazione Luca Coscioni potrebbe rappresentare un ulteriore passo in avanti per portare, in via indiretta, ad una maggiore semplificazione della procedura sottesa all’attivazione della pratica di suicidio assistito e ad una vera tutela dei diritti del malato, la cui volontà possa, davvero, esser rispettata.
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