Il maltrattamento economico in ambito familiare: violenza economica o conservatorismo?
Parità di genere e mutamenti socio-culturali. L’art. 572 c.p. estende il suo raggio di applicazione a nuove forme di violenza
1. Introduzione
Negli ultimi anni, il tema della parità di genere, soprattutto con il dilagante e triste fenomeno del c.d. “femminicidio”, sta trovando sempre più spazio tra i mezzi di comunicazione, in particolare tra quelli di nuova generazione.
Se fino a qualche decennio fa, la donna veniva considerata quale membro minoritario all’interno del nucleo familiare, ad oggi, complice proprio la diffusione massiccia di nuovi dati derivanti dalla conduzione di più ricerche socioculturali ma soprattutto di recenti consapevolezze, si è assistito, sempre più, ad un’esaltazione della figura femminile, non più da intendere quale esclusiva addetta alla gestione del focolare domestico su cui l’uomo – ovvero il pater familias unico sostenitore economico del nucleo familiare – era solito esercitare il proprio “potere” (anche) organizzativo, ma come membro paritario ed attivo, in grado di supportare anche sul piano economico l’andamento della vita familiare.
Ebbene, il focus del presente contributo è proprio da ricercare in un’analisi di come anche il concetto giuridico del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi abbia subito un’importante evoluzione, al passo con lo stesso avanzamento ideologico.
2. Il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi
L’art. 572 c.p., prevedendo il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi, punisce, al primo comma, chiunque maltratti una persona della famiglia o, comunque, convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte.
Al secondo comma, il legislatore ha introdotto un aumento della pena fino alle metà laddove il fatto venga commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità, ovvero se realizzato con armi.
Il terzo comma è stato, invece, dedicato alle diverse casistiche di inasprimento della pena, laddove dalla condotta deriva alla vittima una lesione personale grave, gravissima oppure il suo decesso mentre l’ultimo comma ha disposto l’assunzione della qualifica di persona offesa dal reato nell’eventualità in cui un minore di anni diciotto assista ai fatti puniti dalla disposizione in questione.
Se fino a qualche decennio fa, il concetto di familiare veniva limitato ai coniugi, consanguinei, affini, adottati e adottanti, negli ultimi tempi si è assistito ad un allargamento a macchia d’olio di tale concetto, potendo rientrare anche i soggetti legati da qualsivoglia parentela, purché conviventi, potendo, pertanto, essere incluso, altresì, il convivente more uxorio.
Si tratta di un reato abituale proprio che può essere realizzato solo da persone legate da un vincolo di parentela, nei termini suddetti, alla persona offesa e che si concretizza con condotte, commissive od omissive, reiterate nel tempo, volontariamente lesive dell’integrità, della libertà e del decoro, sul piano psico-fisico del soggetto passivo.
Per quanto concerne l’elemento psicologico, la fattispecie illecita si considera integrata dal mero dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di realizzare condotte vessatorie avverso la persona della vittima.
Non sembra, da ulteriore, escludersi la configurabilità del reato anche nell’ipotesi di una resistenza da parte del soggetto subente. Come, infatti, chiarito dalla Suprema Corte, “a fronte di condotte abitualmente vessatorie, che siano concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni, il reato non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione della vittima a succube dell’agente” (
Cass., n. 809/2022).
È, altresì, interessante notare come non si possa ritenere integrato il reato di atti persecutori (c.d. “stalking”) di cui all’art. 612-bis c.p. ma sempre il reato di maltrattamenti in famiglia nel caso in cui “le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza” (
Cass., n. 45400/2022).
Come si evince dalla lettura della norma, si tratta di una disposizione dove il concetto di maltrattamento appare alquanto generico, indeterminato e vago, lasciato ad una libera determinazione del giudicante, sulla scorta del proprio “bagaglio” professionale ma anche socioculturale, a fronte di una concezione, sicuramente nel passato per la conformazione del nucleo familiare di un tempo, legata ad un riconoscimento del maltrattamento, laddove davvero grave, più sul piano fisico che psicologico.
Non risulta essere un mistero come nel trascorso delle nostre nonne, queste fossero costrette a subire maltrattamenti fisici allo scopo sia di procreare sia di essere “educate” da parte della figura maschile di riferimento nonché psicologici, non potendo lavorare o, nella peggiore eventualità, costrette a badare alla prole, alla gestione della casa e a lavorare per poi dover consegnare il proprio guadagno al coniuge.
Situazioni, queste, che seppur palesemente oggi inaccettabili, in alcuni contesti più degradati dove le donne non hanno accesso ad un’istruzione superiore, tendono a ripetersi, seppur cambiando le circostanze di contorno.
3. L’estensione descrittiva delle condotte di cui all’art. 572 c.p.: l’importante riconoscimento da parte della Suprema Corte
Con la recente pronuncia n. 1268 emessa il 14.11.2024 e depositata il 13.01.2025, oggetto di massiccia diffusione dai nuovi mass media, la VI sezione della Cassazione Penale ha posto le basi per un importante riconoscimento della c.d. “violenza economica” in ambito familiare perpetrata, nella maggior parte dei casi, avverso la donna.
In prima battuta, gli Ermellini hanno affermato, richiamando un precedente indirizzo (Cass., n. 43960/2015) come la già indicata condotta si verifichi ogniqualvolta i comportamenti vessatori siano in grado di determinare nella persona offesa, alla quale viene impedito di essere economicamente indipendente, uno stato di prostrazione psico-fisica, con scelte economico-organizzative unilateralmente imposte da un coniuge, tramite atti di violenza o prevaricazione psicologica (vd. p. 4 della sentenza).
Tali atti di violenza, in grado di arrecare un danno economico al soggetto più debole della famiglia, sono stati ricompresi, a livello convenzionale e nel quadro normativo euro-unitario, nell’ambito di definizioni che, come osservato da una precedente decisione delle Sezioni Unite (sentenza n. 10959 del 29.01.2016), “[…] non compaiono nei tradizionali testi normativi di produzione interna, ma che tuttavia, per il tramite del diritto internazionale, sono entrate a far parte dell’ordinamento e influiscono sulla applicazione del diritto”, altresì tramite l’obbligo di interpretazione conforme, la quale “impone, ove la norma interna si presti a diverse interpretazioni o abbia margini di incertezza, di scegliere quella che consenta il rispetto degli obblighi internazionali” (vd. p. 5 della sentenza).
Sul punto, gli Ermellini richiamavano l’attenzione sia sulla disposizione di cui all’art. 3, lett. a), della Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), oggetto di ratifica senza riserve dall’Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77 sia i considerando 17 e 18 della
Direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che ha istituito norme minime in ambito di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, attuata in Italia con il D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (vd. p. 5 della Sentenza).
È stata, inoltre, richiamata la recente direttiva UE 2024/1385 del 14 maggio 2024, in materia di lotta alla violenza avverso le donne e alla violenza domestica, la quale dovrà essere oggetto di attuazione entro il 14 giugno 2027, ove il legislatore europeo ha fatto espresso riferimento al concetto di controllo economico nell’ambito della violenza domestica (vd. p. 6 della Sentenza).
Nel caso de quo, “le condotte dell’imputato volte ad osteggiare la coniuge nella ricerca di un’attività lavorativa […]; ad imporle un ruolo casalingo sulla base di una rigorosa e discriminatoria ripartizione di ruoli; a sottrarsi alla gestione domestica e familiare delegandone interamente le incombenze alla coniuge, così da non consentirle altra soluzione che quella di abbandonare le proprie ambizioni professionali ed essere da lui “mantenuta”; a non remunerare le attività svolte nell’interesse dell’azienda familiare, con il proprio arricchimento” venivano considerate dal Giudice di merito, con successiva approvazione della Cassazione, atti posti in essere per limitare l’autonomia economica della persona offesa (vd. p. 7 della Sentenza).
Segnatamente, emergeva “l’imposizione di un sistema di potere asimmetrico all’interno del nucleo familiare, di cui la componente economico-patrimoniale rappresenta[va] un profilo di particolare rilievo, perché costitui[va] oggetto di una decisione unilateralmente assunta dall’imputato, anche attraverso il ricorso a forme manipolatorie e pressioni psicologiche sulla persona offesa, tali da incidere sulla sua autonomia, sulla sua dignità umana e sulla sua integrità fisica e morale” (vd. p. 7 della Sentenza).
4. Conclusioni
Dalle succitate considerazioni, è possibile trarre le seguenti conclusioni.
Rispetto a tale mutamento di gestione familiare, oltre ad uno sviluppo di genere, hanno sicuramente avuto una netta incisione anche ulteriori fenomeni, tra cui la globalizzazione, il consumismo (a volte anche eccessivo) portato dalla capitalizzazione e dallo sviluppo dei mass media sempre più presenti nelle nostre esistenze, l’aumento dei costi della vita a fronte di una radicalizzazione degli stipendi percepiti e la relativa discesa del potere d’acquisto, con una necessità (non sempre coincidente con una realizzazione personale) anche per la donna di contribuire al sostegno economico familiare al fine di far fronte a tutte le necessità, più o meno, essenziali del proprio nucleo.
È pur vero, però, che in contesti più disagiati con un tasso di scolarizzazione più basso, sussiste e resiste ancora il vecchio retaggio socioculturale che vede la donna ancora relegata al solo ruolo di madre e moglie ma è proprio la decisione sopra analizzata che dona un barlume di speranza ad un miglioramento, ad una maggiore coscienza e cognizione dei diritti intrinseci in capo alla donna, a concetti di violenza non già fisica che, seppur aleatori, spesso hanno effetti nel medio-lungo termine anche peggiori delle lesioni fisiche.
In questo senso, come rimarcato dalla stessa Suprema Corte, laddove sia carente il dato normativo della legislazione interna, sarà essenziale guardare alla normativa europea che offre importanti “spunti”, soprattutto per il tema ivi occorrente della violenza economica in ambito familiare, al fine di sopperire alle lacune nazionali, garantendo una tutela efficace ed efficiente alle persone offese da tale reato.
fonte: https://www.altalex.com/documents/news/2025/03/31/maltrattamento-economico-ambito-familiare-violenza-economica-conservatorismo