Le ”scuse” milionarie dello Stato, quanto ci costano i casi di ingiusta detenzione
Le spese per l’equa riparazione: una panoramica su uno dei maggiori istituti di solidarietà sociale
In un momento storico dove i tagli alla spesa pubblica sono all’ordine del giorno, ogni settore sembra essere preso “d’assalto” dalla c.d. “spending review” governativa al fine di imporre nuove restrizioni, limitare le risorse economico-finanziarie e contenere, così, il debito: basti pensare al settore della sanità, della scuola o del welfare, giusto per citarne immediatamente alcuni.
Come si avrà modo di constatare, però, per le svariate situazioni di ingiusta detenzione (e non già di riparazione derivante da errore giudiziario di cui all’art. 643 c.p.p.), nel 2024 sono stati spesi ben 26,9 milioni di euro a titolo di riparazione in virtù dei sommi principi di inviolabilità della libertà personale e della presunzione d’innocenza, con un’interessante concentrazione delle pronunce nel centro-sud (Napoli, Reggio Calabria, Catanzaro e Roma): un dato agghiacciante che dovrebbe portare ad effettuare delle importanti riflessioni rispetto all’attuale funzionamento del sistema giudiziario.
1. Il procedimento per la riparazione per ingiusta detenzione: artt. 314 e 315 c.p.p.
Prima di osservare le risultanze emerse dall’analisi del 2024, è bene effettuare un breve excursus normativo rispetto alla disciplina in materia.
L’istituto della riparazione per ingiusta detenzione si rinviene all’interno del Capo VIII del Titolo I, avente ad oggetto le misure cautelari personali, del Libro IV del codice di procedura penale, concernente le misure cautelari in generale, assicurando all’imputato il diritto ad ottenere un’equa riparazione per la detenzione subita ingiustamente ed antecedentemente allo svolgimento del processo ovvero prima dell’emissione del decisum.
Ai fini del corretto esercizio di tale diritto, è essenziale che sia occorsa un’ingiustizia sostanziale o formale della custodia cautelare subita, a patto che l’imputato non vi abbia dato causa o concorso a darvi causa, per dolo o colpa grave.
Il primo articolo da esaminare consiste nell’art. 314 c.p.p., grazie al quale viene riconosciuto il diritto a godere di un’equa riparazione per la custodia cautelare ingiustamente subita, ai sensi di quanto previsto dalla normativa europea ovvero dall’art. 5, paragrafo 5, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo all’art. 5, secondo cui “ogni persona vittima di un arresto o di una detenzione, eseguiti in violazione alle disposizioni di questo articolo, ha diritto ad un indennizzo”.
Ebbene, l’art. 314 c.p.p. afferma, al primo comma, come chi sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussista, per non aver realizzato il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge quale reato, ha diritto ad un’equa riparazione per la custodia subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.
Il secondo comma dispone come tale facoltà possa essere esercitabile anche al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che durante il processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura sia stato emesso o mantenuto al di fuori delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p.
Il successivo comma indica come le disposizioni di cui ai precedenti commi debbano applicarsi, alle medesime condizioni, a favore delle persone nei cui riguardi sia pronunciato provvedimento di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a procedere.
Secondo quanto statuito dal quarto comma, il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata per la determinazione della misura di una pena ovvero per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo.
Ai sensi del quinto ed ultimo comma, invece, nei casi in cui con la sentenza o con il provvedimento di archiviazione sia stato affermato che il fatto non è previsto dalla legge come reato per abrogazione della norma incriminatrice, il diritto alla riparazione è anche escluso per quella parte di custodia cautelare sofferta antecedentemente all’abrogazione.
Un’altra importante disposizione rilevante in materia è da ravvisare nell’art. 315 c.p.p., disciplinante il procedimento per la riparazione, prevede, al primo comma, come la relativa domanda debba essere avanzata, a pena di inammissibilità, entro un biennio dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato ai sensi dell’art. 314, terzo comma, c.p.p.
Il secondo comma individua un dettato assai rilevante ovvero come l’entità della riparazione non possa, in ogni caso, essere superiore all’importo di euro 516.456,90 che verrà ricevuto a titolo di indennizzo e, si badi bene, non già a scopo risarcitorio, con l’applicazione, laddove compatibili, delle norme sulla riparazione dell’errore giudiziario.
2. Le “scuse” milionarie dello Stato: i dati della spesa pubblica nel 2024
Con la Relazione al Parlamento ex L. 16 aprile 2015, n. 47, il Ministero della Giustizia Dipartimento per gli Affari di Giustizia Direzione Generale degli Affari Interni ha esaminato i dati relativi all’applicazione delle misure cautelari personali e di riparazione per ingiusta detenzione concernente l’anno 2024, emergendo ben 1293 ordinanze di accoglimento di domande di ingiusta detenzione a fronte delle 1120 della precedente annualità.
La Parte I della Relazione, riguardante la rilevazione delle misure cautelari personali coercitive, ha fatto emergere come, nel 2018-2019 siano state emesse più di 94.000 misure, a fronte di un successivo ridimensionamento tra il 2020-2023 per una media di 81.700, per poi avere un aumento nel 2024 con 94.168 misure emesse.
Le misure cautelari custodiali (carcere, arresti domiciliari e luogo cura) rappresentano circa il 56% di tutte le misure emesse mentre quelle non custodiali circa il 44%.
Una misura cautelare coercitiva su tre emesse è rappresentata da quella carceraria (il 31%) mentre una misura su quattro è quella degli arresti domiciliari (il 25%).
Le sezioni GIP e Dibattimentali localizzate presso i Tribunali capoluogo di distretto costituiscono quasi il 50% delle misure totali emesse sul piano nazionale ove circa il 75% delle misure viene emesso dalle sezioni GIP, contro il 25% residuo emesso dalle sezioni Dibattimentali.
Con riferimento alle misure cautelari emesse nei procedimenti definiti, il 41,7% delle 94.168 misure cautelari emesse nel 2024, è stato registrato in procedimenti che sono stati definiti nella medesima annualità; di queste 39.313 misure, l’83,0% (32.641) appartiene a procedimenti iscritti (ed anche definiti, appunto) nel medesimo anno 2024.
Sempre in tale ambito, è stato rilevato come il 75,2% delle misure siano intervenute in un procedimento che ha avuto come esito la condanna senza sospensione condizionale della pena, a cui bisogna aggiungere il 14,7% di misure emesso in un procedimento il cui esito è stato quello della condanna con sospensione condizionale della pena; si desume un 90% circa di misure cautelari il cui procedimento è stato definito con una condanna, a fronte di un 10% circa di misure intervenute nell’ambito di un procedimento definito poi con un’assoluzione o un proscioglimento a vario titolo.
La Parte II della Relazione si è, invece, concentrata sull’analisi dei provvedimenti di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, dell’entità delle riparazioni e, da ultimo, dei procedimenti disciplinari iniziati nei confronti dei magistrati interessati.
Dunque, premesso come i distretti più interessati siano stati quelli di Napoli, Reggio Calabria, Catanzaro e Roma, nel 2024 sono sopravvenuti 1.154 procedimenti mentre quelli definiti 1.293.
Circa le motivazioni poste alla base degli accoglimenti definitivi ex art. 314 c.p.p., in relazione al periodo 2018-2024, in circa il 73% dei casi da provvedimenti irrevocabili è stata dichiarata l’accertata estraneità della persona ai fatti a lei contestati e in circa il 27% dei casi l’illegittimità della misura cautelare disposta.
Per quanto concerne l’entità delle riparazioni, nel 2024 sono pervenute al Ministero dell’Economia e Finanze n. 552 ordinanze dalle Corti di Appello per un totale di € 26,9 milioni.
In relazione, poi, ai procedimenti disciplinari iniziati avverso i magistrati, il monitoraggio avviato dall’Ispettorato generale sulle ordinanze di accoglimento irrevocabile delle domande di riparazione per ingiusta detenzione permettono di considerare: “l’assenza di correlazione tra il riconoscimento del diritto alla riparazione accertato nei citati provvedimenti e gli illeciti disciplinari dei magistrati; che le anomalie che possono verificarsi in correlazione con l’ingiusta compressione della libertà personale in fase cautelare sono costantemente oggetto di verifica da parte degli Uffici ministeriali, sia nel corso di ispezioni ordinarie sia a seguito di esposti e segnalazioni delle parti, dei loro difensori e di privati cittadini, sia, infine, in esito alle informative dei dirigenti degli uffici; il sistema disciplinare consente di intercettare e sanzionare condotte censurabili molto prima ed indipendentemente dalla verifica giudiziaria dei presupposti per il riconoscimento della riparazione da ingiusta detenzione”.
3. La mancata automaticità del diritto alla riparazione del danno: il punto della Suprema Corte
Come è stato già possibile desumere dalla lettura della normativa, il diritto alla riparazione non risulta automatico, dal momento che la condotta tenuta dall’imputato, sia antecedentemente all’applicazione della misura cautelare personale sia successivamente alla medesima, dovrà essere oggetto di specifico esame giudiziale, con esclusione al godimento dell’indennizzo nel caso in cui il soggetto abbia tenuto una condotta dolosa o gravemente colposa, atta a contribuire significativamente alla decisione di applicazione della misura cautelare personale (
Cass., Sez. U., n. 32383/2010, in senso conforme, ex plurimis,
Cass., n. 48674/2022).
Invero, “il giudice della riparazione deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ed effetto”” (
Cass., n. 7007/2005).
Circa, poi, il profilo della liquidazione del relativo indennizzo, la Suprema Corte ha osservato come questa debba “basarsi su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto anche delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà le quali, tuttavia, non possono essere presunte, ma necessitano di essere provate, in quanto la sofferenza causalmente riconducibile alla separazione dal nucleo familiare costituisce conseguenza psicologica ed emotiva normale per un soggetto privato della propria libertà personale, donde la necessità, al fine di ottenere il soddisfacimento anche dei predetti pregiudizi personali e familiari, di allegare elementi giustificativi a sostegno dell’istanza” (
Cass., n. 55787/2017).
Gli Ermellini sono stati, da ultimo, sempre ben chiari rispetto al concetto di indennizzo, ben lontano dal principio civilistico di risarcimento del danno.
Invero, il diritto alla riparazione, ex art. 314 c.p.p., “sorge all’atto delle definitività della sentenza di proscioglimento ed ha come presupposto un atto legittimo di carattere autoritativo costituito dal provvedimento che dispone la misura coercitiva. Ne consegue che per determinare l’entità della riparazione non può farsi luogo ai criteri fissati per i danni da fatto illecito, ma è necessario ricorrere al criterio equitativo richiamato dall’art. 314 con il riferimento all’equo indennizzo. Il giudice è pertanto tenuto a quantificare l’indennizzo per la detenzione ingiusta utilizzando i criteri direttivi dettati dall’art. 643, comma primo, cod. proc. pen. costituiti dalla entità della pena patita, dalle sofferenze morali e psicologiche derivanti dalla detenzione ed anche dalle conseguenze che la detenzione stessa abbia cagionato ai congiunti conviventi con il detenuto” (cfr. storica sentenza della Cass., n. 1167/1992, ripresa anche dalla succitata Cass., n. 55787/2017).
4. Conclusioni
Dalle considerazioni già indicate, è possibile trarre le seguenti conclusioni.
Seppur risalente nel tempo, giova rimembrare una vetusta pronuncia le Sezioni Unite della Suprema Corte il cui contenuto racchiude pienamente l’oggetto dell’istituto appena esaminato ovvero che “l’equa riparazione per ingiusta detenzione non ha carattere risarcitorio, in quanto l’obbligo dello Stato non nasce ex illecito ma dalla solidarietà verso la vittima di un’indebita custodia cautelare. Il suo contenuto, pertanto, non è la rifusione dei danni materiali, intesi come diminuzione patrimoniale o lucro cessante, ma – nel limite predeterminato – la corresponsione di una somma che, tenuto conto della durata della custodia cautelare, valga a compensare l’interessato delle conseguenze personali di natura morale, patrimoniale, fisica e psichica, che la custodia cautelare abbia prodotto. Ai fini della relativa va-lutazione equitativa debbono essere presi in considerazione tutti gli elementi disponibili da valutarsi globalmente con prudente apprezzamento” (Cass., Sez. U., n. 1/1992).
Ferme restando le possibili critiche sull’esiguità dell’importo di tetto massimo di spesa previsto per la “fruizione” di tale diritto soggettivo pubblico, fondato su un dovere di solidarietà dello Stato verso la vittima, ex art. 24, quarto comma, Cost. e per la riparazione alla lesione di un diritto fondamentale della persona quale quello della libertà, è interessante notare la furbizia intrinseca nella disciplina introdotta al tempo, onde sottrarre lo Stato ad ogni possibile forma di responsabilità, inquadrando l’istituto non già nell’ambito di un risarcimento del danno per un torto commesso ai danni della persona coinvolta in un procedimento giudiziale bensì nel contesto di una concessione ovvero di una regalia, mascherata sotto forma di solidarietà sociale (sostenuta, pertanto, dagli oneri di tassazione a carico di tutti i contribuenti “incolpevoli”).
Oltre a ciò, perplessità emergono anche rispetto ai criteri di valutazione equitativa anche estranei alla sfera prettamente giuridica-legale, forse contraddistinti da uno scarso inquadramento, a cui il giudice della riparazione dovrebbe fare riferimento per motivare il proprio decisum rispetto alle conseguenze patite dall’imputato sui diversi spazi di vita (in primis, quello psico-fisico).
Di conseguenza, si comprende come tale istituto, forse rimasto più nell’ombra rispetto alle grandi tematiche del diritto penale, meriti una maggiore risonanza mediatica e giuridica, onde consentire, innanzitutto, una limitazione a tali situazioni e soprattutto una valutazione adeguata di tutto il circuito sotteso che possa davvero mettere al centro l’imputato, gravato anche dell’onere probatorio rispetto ai danni patiti tra cui quello più difficile da dimostrare ovvero quello esistenziale.