La tutela penale del rischio da stress lavoro-correlato ex D. Lgs. n. 81/2008
Il rischio da stress lavoro-correlato ex D. Lgs. n. 81/2008: la tutela penale a garanzia del lavoratore
1. Introduzione
Stress. Una parola che ha ormai penetrato qualsivoglia ambito della nostra esistenza, provocando uno stato di sofferenza psico-fisica, anche profonda nelle casistiche più gravi, tanto sul piano personale quanto su quello professionale.
Un concetto che ritroviamo, altresì, ricorrente nella sfera medica, al fine di giustificare o, quantomeno, trovare una riconducibilità a svariate forme di patologie che affliggono il nostro corpo.
Senza addentrarci in spiegazioni cliniche che poco competono nella corrente sede, il focus del presente contributo sarà quello di indagare rispetto ai profili della tutela penale che viene garantita ai lavoratori contro il rischio da stress-lavoro correlato che, spesse molte, sfocia in un vero e proprio esaurimento, conosciuto meglio con il termine anglosassone “bournout”.
2. Il quadro normativo europeo e nazionale: la tutela della sfera psicosociale del lavoratore
Prima di esaminare gli aspetti penali della tutela contro il rischio da stress-lavoro correlato, è bene ripercorrere l’evoluzione della normativa in materia, soprattutto con riferimento alla tutela della sfera psicosociale del prestatore di lavoro.
Uno dei primissimi documenti è da rinvenire nella Direttiva Europea 89/391/CEE del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure finalizzate alla promozione del miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante lo svolgimento delle attività lavorative, recepita in Italia con il D. Lgs. n. 626/94, la quale ha cristallizzato il ruolo chiave delle “figure della prevenzione” nella gestione della tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.
L’11 marzo 2002, la Commissione delle Comunità Europee ha, poi, redatto una comunicazione assai rilevante, avendo ad oggetto le trasformazioni del lavoro e delle società, volta all’implementazione di una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza per le annualità 2002-2006, sposando “un’impostazione globale del benessere sul luogo di lavoro, prendendo in considerazione le trasformazioni del mondo del lavoro e l’insorgenza di nuovi rischi, in particolare psicosociali”, mirando “a migliorare la qualità del lavoro, della quale un ambiente di lavoro sano e sicuro è uno dei componenti fondamentali”.
Con il D. Lgs. 23 giugno 2003, n. 195, avente ad oggetto “[m]odifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, per l’individuazione delle capacità e dei requisiti professionali richiesti agli addetti ed ai responsabili dei servizi di prevenzione e protezione dei lavoratori, a norma dell’articolo 21 della legge 1° marzo 2002, n. 39”, ove all’art. 8 del D. Lgs. n. 626/1994, è stato aggiunto l’art. 8-bis e, in particolare, all’art. 2, quarto comma, è stato, da ulteriore, previsto come, al fine di svolgere la funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione, fosse indispensabile, oltre ai requisiti precedentemente indicati, “possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e psico-sociale”.
Qualche anno dopo, è stato elaborato e siglato dalla CES (Confederazione Europea dei Sindacati), dall’UNICE (Union of Industrial and Employers’ Confederations of Europe), dall’UEAPME (Associazione europea dell’artigianato, delle piccole e medie imprese o, oggi, SMEunited) e PMI nonché dal CEEP (European Centre of Employers and Enterprises providing Public Services) l’accordo europeo dell’08 ottobre 2004, recepito dall’Accordo interconfederale del 09 giugno 2008, avente lo scopo di “migliorare la consapevolezza e la comprensione dello stress da lavoro da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti, attirando la loro attenzione sui sintomi che possono indicare l’insorgenza di problemi di stress da lavoro”, offrendo ai datori e ai lavoratori un modello in grado di individuare e di prevenire, o quanto meno di gestire, le problematiche riconducibili allo stress da lavoro.
In tale importante documento, lo stress viene riconosciuto all’art. 3, primo comma, nei termini di “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”.
Troviamo, poi, l’apice della regolamentazione con il D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in attuazione dell’art. 1 della Legge 3 agosto 2007, n. 123, convertito con modificazioni dalla Legge 27 febbraio 2009, n. 14 a cui è seguito il D. Lgs. 03 agosto 2009, n. 106, meglio conosciuto come “Testo Unico Sicurezza sul Lavoro”, ove all’art. 28 è stato previsto come, ai fini della stesura del Documento di Valutazione dei Rischi (cd. “DVR”), la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori deve riguardare non solo i rischi particolari a cui i prestatori sono esposti ma anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, come da obbligo introdotto il 01 agosto 2010.
3. La tutela penale dello stress lavoro-correlato: un’insormontabile lacuna normativa e giurisprudenziale?
Ciò premesso, risulta essenziale, come si vedrà a breve, tracciare una netta separazione tra la protezione che viene riservata sul piano civile e quella che invece si rinviene nell’ambito penale.
Se l’art. 32 della Costituzione sancisce la tutela della salute quale “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, l’art. 2087 c.c. attribuisce l’onere all’imprenditore di “adottare nell’esercizio dell’impresa che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Già da tali brevi considerazioni normative, si comprende come sul piano civilistico, grazie anche ad una prolifera giurisprudenza di legittimità in materia, sussista una precisa tutela del lavoratore contro eventuali condotte realizzate dal datore di lavoro, seppur non inquadrabili come comportamenti intenzionalmente vessatori (cd. “mobbing”), che possano risultare esorbitanti o incongrue rispetto ad un tradizionale rapporto professionale, con un contributo causale nell’instaurazione di un ambiente di lavoro non sereno e determinante pregiudizi per la salute del lavoratore, anche con un riconoscimento risarcitorio in tal senso (ex plurimis, cfr. Cassazione Civile, Sezione lavoro, ordinanza 19 gennaio 2024, n. 2084).
Dal punto di vista penale, invece, la situazione può definirsi quasi di segno opposto.
Come già anticipato, l’art. 28, primo comma, del D. Lgs. n. 81/08 afferma come la valutazione dei rischi debba essere effettuata rispetto a tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, inclusi quelli concernenti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli connessi allo stress lavoro-correlato, secondo i dettami del già menzionato Accordo europeo dell’08 ottobre 2004.
Tale documento prevede, nell’ambito del suo oggetto (art. 2), come nonostante il riconoscimento della sopraffazione e della violenza sul lavoro quali “fattori stressogeni potenziali”, l’Accordo “non riguarda né la violenza sul lavoro, né la sopraffazione sul lavoro, né lo stress posttraumatico”, escludendo, pertanto, la sussistenza di eventuali profili penalistici riconducibili, ad esempio, al reato di mobbing (ovvero di atti persecutori sul posto di lavoro) oppure di violenza privata ex art. 610 c.p.
La soluzione non è certamente di facile rinvenimento, anche alla luce di una minore sensibilità del Codice penale rispetto al concetto di salute mentale sic et simpliciter assente in esso, ove, invece, si fa riferimento alla nozione di infermità (seppur, con la decisione n. 9163/2005, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno riconosciuto l’inclusione dei gravi disturbi di personalità nel concetto di infermità, a patto che si verifichi un accertamento del giudice sulla loro gravità ed intensità, con verifica sulla capacità di intendere e di volere del soggetto leso che dovrà essere esclusa o scemata grandemente nonché sul nesso eziologico con la condotta illecita).
Scorrendo nella lettura del Testo Unico, si rinviene l’esistenza, all’art. 55, di aspre sanzioni penali, laddove il datore ometta o adotti in maniera incompleta il DVR e, più in generale, in tutte quelle situazioni in cui il datore non agisca secondo quanto stabilito dal D. Lgs. n. 81/08 nella redazione e implementazione del DVR.
È chiaro come parlare di tipizzazione dei rischi psicosociali in capo al datore, al quale viene riconosciuto un ruolo di garanzia ai sensi dell’art. 2087 c.c., sia alquanto pericoloso, lasciando sempre alti margini di lacune, dal momento che nella maggior parte delle situazioni lo stress difficilmente raggiunge uno status così elevato di effettiva “malattia professionale”, ma fermandosi ad uno stato precedente ovvero ad uno stato di agitazione psichica, magari congiunto ad altri fattori negativi appartenenti solo alla sfera personale del lavoratore (a titolo esemplificativo, problematiche economiche o familiari).
Un’opzione potrebbe rinvenirsi in una responsabilità giuridica in capo al soggetto giuridico, anziché personale ad esclusivo carico del datore di lavoro.
In materia di disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, può, difatti, citarsi l’art. 25 septies del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, avente ad oggetto l’“[o]micidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”, offrendo una normativa nell’ipotesi di reati colposi d’evento.
In tal senso, l’Organismo di Vigilanza, al fine di accertare l’idoneità del Modello Organizzativo adottato dall’ente, dovrà rifarsi al contenuto dell’art. 30 del D. Lgs. n. 81/2008 ad oggetto modelli di organizzazione e di gestione ovvero “a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici; b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti; c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; d) alle attività di sorveglianza sanitaria; e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori; f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori; g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge; h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate”.
Adottando tale indirizzo, si avrebbe il riconoscimento dell’illecito solo nel caso di una carente organizzazione lavorativa, a discapito della corretta applicazione della normativa a salvaguardia dell’igiene sul lavoro, con una tutela sicuramente maggiore del datore di lavoro e con un ampliamento dei possibili soggetti responsabili per il reato.
4. Conclusioni
Dalle considerazioni di cui supra, è possibile trarre le seguenti conclusioni.
Additare la normativa presente e tutt’ora vigente di essere vetusta, risulterebbe forse azzardato, in quanto pienamente confacente rispetto alle annualità di sua elaborazione.
Come noto, il riconoscimento scientifico e la consapevolezza culturale del valore sottostante la sfera della salute mentale si è registrato solo negli ultimi anni.
Ciò che si auspica è che nel futuro a breve termine vi sia un importante intervento normativo in ambito penale che possa adeguarsi agli strumenti già offerti dalla tutela civilistica e alle evoluzioni sopra esposte, evitando di lasciare (come sfortunatamente troppe volte accade) carta bianca alla magistratura giudicante con interpretazioni che possano potenzialmente rivelarsi errate o non completamente adeguate alle circostanze del caso concreto, privilegiando un approccio multidisciplinare, complice anche la necessità di specifiche nozioni non solo in ambito giuridico ma anche in campo medico, clinico e psicologico.