L’estensione della tenuità del fatto: l’estrema ”generosità” della riforma Cartabia
Un’analisi del rinnovato art. 131-bis c.p.: le tre principali aree d’intervento e le categorie di indicatori per la configurazione della causa di esclusione della punibilità
Non è la prima volta che affrontiamo il tema della c.d. “riforma Cartabia” e delle ripercussioni, peraltro, in ambito penale, nonché della principale voluntas legislativa sottostante la novella ovvero l’obiettivo di “ristrutturare” il sistema giudiziario, donando maggiore elasticità e flessibilità allo stesso, con una riduzione dei tempi procedimentali e processuali.
Ebbene, il focus del presente contributo sarà quello dell’intervento operato dal D.Lgs. n. 150/2022 sull’istituto della non punibilità per particolarità tenuità del fatto, introdotto, al tempo, dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28.
È stata, invero, disposta la modifica dell’art. 131-bis, primo e secondo comma, c.p., con l’aggiunta di un ulteriore comma dopo il secondo.
1. Come si presenta il rinnovato art. 131-bis c.p.
Per comprendere meglio i mutamenti apportati alla disciplina, è essenziale procedere alla lettura del dato normativo.
Il “nuovo” primo comma recita come “[n]ei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
Da qui già emerge il primo grande cambiamento ovvero l’applicazione generalizzata dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. a tutti i reati puniti con una pena minima non superiore a due anni, venendo, così meno, ogni rilevanza del limite massimo di pena, potendo, pertanto, configurarsi, altresì, a tutte quelle fattispecie illecite con una pena edittale massima superiore ad anni cinque di reclusione.
Un ulteriore elemento di discordanza rispetto alla previgente disciplina è da rinvenire nel rilievo giuridico che viene ad assumere la condotta susseguente alla commissione del reato da parte del soggetto agente.
Si tratta di un’apprezzabile introduzione che, tuttavia, già ad una prima lettura, fa emergere svariate perplessità e dubbiosità, soprattutto, in relazione alla genericità del suo dettato; genericità, questa, intenzionalmente voluta dal legislatore delegato, al fine di “non limitare la discrezionalità del giudice che, nel valorizzare le condotte post delictum, potrà […] fare affidamento su una locuzione elastica ben nota alla prassi giurisprudenziale, figurando tra i criteri di commisurazione della pena di cui all’art. 133, comma secondo, n. 3 cod. pen.” (cfr. Relazione Illustrativa del D.Lgs. n. 150/2022).
Il D.Lgs. n. 150/2022, all’art. 1, comma 1, lett. c), n. 2, ha, poi, previsto la soppressione, al secondo comma, del secondo periodo.
Se, antecedentemente, lo stesso recitava come “[l]’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni”, ad oggi dispone delle ipotesi generali di esclusione dell’applicabilità della non punibilità ovvero “[l]’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”.
La riforma Cartabia ha, altresì, introdotto, un terzo comma, atto a disciplinare le ipotesi di esclusione applicativa della disciplina, già precedentemente previste ma arricchite di nuove fattispecie. Invero, “[l]’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede: 1) per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive; 2) per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341 bis, quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, nonché per il delitto previsto dall’articolo 343; 3) per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis, 391 bis, 423, 423 bis, 558 bis, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5, 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583, secondo comma, 583 bis, 593 ter, 600 bis, 600 ter, primo comma, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies, 609 undecies, 612 ter, 613 bis, 628, terzo comma, 629, 644, 648 bis, 648 ter; 4) per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 19, quinto comma, della legge 22 maggio 1978, n. 194, dall’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo, e dagli articoli 184 e 185 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”.
Da ultimo, la Legge 14 luglio 2023, n. 93, avente ad oggetto “[d]isposizioni per la prevenzione e la repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d’autore mediante le reti di comunicazione elettronica”, ha introdotto il comma 4-bis al secondo articolo, estendendo l’inapplicabilità dell’istituto anche ai delitti di cui alla sezione II del capo III del titolo III della Legge 22 aprile 1941, n. 633, ad eccezione dei delitti contenuti nell’art. 171 dello stesso testo legislativo.
2. Le tre principali aree d’intervento
Come si desume già dalla lettura della norma, l’intervento si è concentrato, maggiormente, su tre principali aspetti.
Il primo, di cui al primo comma, è consistito nell’estensione dell’ambito di applicabilità dell’esimente ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, tramite l’elisione a qualsivoglia precedente riferimento del massimo edittale, con un’evidente ripercussione in termini di tagli di lavoro alla macchina giudiziaria.
Il secondo, sempre al primo comma, è da ricercare nell’attribuzione di rilevanza giuridica alla condotta susseguente alla fattispecie illecita, quale elemento di valutazione utilizzabile da parte del giudicante nella formulazione del proprio decisum rispetto alla sussistenza o meno del carattere di particolare tenuità dell’offesa arrecata.
Il terzo, di cui al secondo comma, si rinviene nell’esclusione dell’esimente, con riferimento ai reati riconducibili alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011 e ad ulteriori reati di particolare gravità.
3. La rilevanza giuridica della condotta susseguente al reato: la prima pronuncia giurisprudenziale di legittimità
All’indomani dell’introduzione della riforma Cartabia, si è registrata la prima pronuncia della Suprema Corte, la quale si è espressa in merito alla rilevanza giuridica della condotta dell’imputato assunta successivamente alla commissione della fattispecie illecita.
Ebbene, con la sentenza n. 18029/2023 (in pari termini, vd. Cass., n. 28031/2023 e n. 28033/2023), gli Ermellini hanno osservato come, se nel passato (ad es., Cass., n. 660/2020) l’elemento della condotta susseguente al reato non poteva rappresentare un valido elemento di giudizio giacché non espressamente ricompreso nel dettato normativo di cui all’art. 131-bis c.p., con la “riforma Cartabia” si è voluto, al contrario, attribuire rilievo giuridico a tale aspetto che, tuttavia, come chiarito dalla Cassazione, non dovrà rappresentare l’unico o il principale parametro di giudizio rispetto all’applicazione o meno dell’esimente.
La Suprema Corte ha, dunque, cristallizzato come il giudice potrà valutare un’ampia gamma di condotte susseguenti al reato, tra cui comportamenti atti a ridurre il grado dell’offesa (es. restituzioni, risarcimento del danno, condotte riparatorie, condotte di ripristino dello stato dei luoghi ovvero accesso a programmi di giustizia riparativa) ma, altresì, condotte che, in senso contrario, aggravino la lesione, inizialmente più tenue, del bene protetto.
Di conseguenza, “la condotta susseguente al reato acquista rilievo […] non come esclusivo e autosufficiente indice-requisito di tenuità dell’offesa, bensì come ulteriore criterio, accanto a tutti quelli contemplati dall’art. 133, comma 1, cod. pen., ossia la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione; la gravità del danno o del pericolo; l’intensità del dolo o della colpa; elementi tutti che, nell’ambito di un giudizio compressivo e unitario, il giudice è chiamato a valutare per apprezzare il grado dell’offesa”.
Pertanto, “le condotte post delictum non potranno di per sé sole rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento della commissione del fatto – dando così luogo a una sorta di esiguità sopravvenuta di un’offesa in precedenza non tenue – ma, come detto, potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio sulla misura dell’offesa, giudizio di cui rimane centrale, come primo termine di relazione, il momento della commissione del fatto, e, quindi, la valutazione del danno o del pericolo verificatisi in conseguenza della condotta”.
Si è trattato di un’importante decisione che ha posto essenziali paletti rispetto ad ipotetiche situazioni di abuso di tale potere discrezionale di valutazione.
Ad ogni modo, però, sarà soltanto il futuro a poterci confermare l’esaustività o meno del dettato normativo, rispetto al corretto operato giudiziale.
4. L’applicazione retroattiva della “nuova” esimente
Un’ulteriore questione che si è posta è stata anche l’eventuale applicazione retroattiva della “nuova” esimente, in una prospettiva di favor rei.
Ebbene, con la sentenza n. 7573/2023, la sez. VI della Suprema Corte accoglieva il ricorso avanzato da un soggetto imputato per il reato di calunnia, punito con la pena della reclusione nel massimo superiore a cinque anni, ma nel minimo non superiore a due anni, in virtù dell’assenza di una disposizione transitoria.
Gli Ermellini si esprimevano, invero, positivamente nei confronti del reo, annullando senza rinvio l’impugnata sentenza ritenendo l’imputato non punibile ex art. 131-bis c.p., “in ossequio al preciso indirizzo esegetico formulato dalle Sezioni Unite della Cassazione in occasione dell’entrata in vigore del nuovo istituto, quando la questione della deducibilità dell’istanza di applicazione dell’art. 131-bis c.p. per la prima volta in cassazione venne definita in senso positivo, in quanto norma afferente ad un istituto di diritto penale sostanziale, dunque ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4: ne consegue il riconoscimento dell’applicazione retroattiva dell’art. 131-bis c.p. alle nuove figure criminose desumibili quoad poenam anche nei giudici pendenti alla data di entrata in vigore della riforma aventi ad oggetto reati commessi prima di quella data (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266594-01). Applicazione retroattiva che non vi è ragione di non riconoscere pure per la parte della nuova disposizione che prevede la possibilità per il giudice di tenere conto della condotta del reo susseguente al reato, in quanto concernente ad un presupposto per l’applicazione di quell’istituto di diritto penale sostanziale”.
5. Le tre categorie di indicatori per la configurazione della particolarità tenuità del fatto
Anche se non strettamente connessa con le modifiche Cartabia, ai fini di una maggiore comprensione dell’istituto rispetto proprio ad una sua configurazione o meno, risulta utile menzionare una recentissima decisione di legittimità (la sentenza n. 14 del 19 novembre 2024 – 2 gennaio 2025).
La quarta sezione penale della Suprema Corte ha, invero, osservato, riportandosi a quanto precedentemente statuito dalla Cass. pen., Sez. Un., 25 febbraio 2016, n. 13681, come la particolarità tenuità del fatto vada individuata secondo caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori ovvero: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo ed il grado della colpevolezza.
Ad avviso degli Ermellini, per un corretto giudizio sulla tenuità del fatto, risulta indispensabile un’articolata ed equilibrata valutazione concernente le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, secondo i criteri di cui all’art. 133, primo comma, c.p., in un’ottica generale di bilanciamento di una serie di elementi fattuali, anche magari in contrasto tra loro, che caratterizzano la condotta sotto un duplice punto di vista, oggettivo e soggettivo.
6. Conclusioni
Che la “riforma Cartabia” abbia generato un vero e proprio tsunami al sistema penale, sia sul piano giuridico che su quello giudiziario, risulta indubbio.
Le modifiche apportate all’esimente contenuta nell’art. 131-bis c.p., almeno apparentemente, sembrano essere intervenute più silenziosamente, almeno dal punto di vista mediatico, ma le conseguenze che ne derivano possono acquisire tratti davvero importanti.
L’eliminazione del minimo edittale consentirà, senza dubbio, di risparmiare preziosi mezzi processuali, in termini di risorse umane, denaro pubblico e tempo, soprattutto con riferimento a quei fatti con scarsa offensività (pensiamo, ad esempio, al furto seguito dalla restituzione del bene), evitando, così, di giungere alla fase dibattimentale.
Tuttavia, come abbiamo già più volte avuto modo di constatare, se, da un lato, l’obiettivo principale della “riforma Cartabia” è stato quello di ridurre i tempi della giustizia, con modalità che si sono poi rivelate quasi nevrasteniche, dall’altro, però, l’ispirazione deflattiva rischia di minare essenziali principi costituzionali, come, ad esempio, il principio di legalità, obbligatorietà dell’azione penale e di eguaglianza.
Una politica di estrema generosità penale che, di fatto, sembra, a tutti i costi e, in determinati casi quasi forzatamente, voler minare l’efficacia del sistema penale, privilegiando maggiormente le esigenze burocratiche di smaltimento pratiche.
Emblematica, in tal senso, l’introduzione di un maggior potere in capo alla magistratura giudicante, la quale, in forza di un’espressa rilevanza giuridica della condotta susseguente al reato da parte del soggetto agente, potrà, discrezionalmente (con tutti i possibili scenari, altresì, di abuso che ne potrebbero derivare) valutare tale elemento nell’ambito della scelta di applicazione o meno della non punibilità per particolare tenuità del fatto. Un elemento sicuramente essenziale, ai fini dell’apprezzamento della condotta riparativa del reo, sarà anche quello del carattere temporale, come suggerisce anche la Relazione stessa di cui sopra, con un onere, in capo al giudice, di verificare la prossimità temporale della condotta post delictum rispetto, proprio alla commissione dell’illecito.
Ciò che risulta, in conclusione, dovendosi escludere delle prognosi future sul decorso della rinnovata disposizione, è sempre il medesimo incombente posto a carico del giudicante, il quale dovrà farsi carico di un importante fardello interpretativo ai fini di una dichiarazione di “tenuità” che possa muoversi secondo criteri oggettivi da valutare, oltre che sulla scorta degli elementi di cui all’art. 133, primo comma, c.p., altresì alla stregua della condotta susseguente al reato del soggetto agente, evitando ipotesi di giudizi di esiguità successiva di un illecito, la cui offesa non poteva inizialmente dirsi tenue (come parrebbe confermato dall’impiego della congiunzione “anche” successivamente al rinvio della legge all’art. 133, comma 1, c.p.).
FONTE: https://www.altalex.com/documents/news/2025/02/08/estensione-tenuita-fatto-estrema-generosita-riforma-cartabia