Whistleblowing, le criticità di una normativa incompleta
Il D.lgs. 24/2023 pone una serie di problemi: dalla facoltà di segnalazione orale all’assenza di sanzioni per la mancata implementazione dei canali interni di segnalazione
di Antonio Di Santo – Avvocato
1. Introduzione
Whistleblowing: termine anglosassone adottato in Italia per la delineazione di un particolare istituto giuridico, volto a disciplinare la condotta di chi decide di rivelare la sussistenza, all’interno dell’ambito lavorativo ove si trova ad operare (tanto privato quanto pubblico), pratiche illecite attive od omissive.
Uno dei primi provvedimenti in tema, seppur sotto una luce alquanto particolare, è da rintracciare al tempo della Comunità Economica Europea.
Con ladirettiva CE 10 giugno 1991, n. 91/308, si era inteso osteggiare il riciclaggio dei proventi risultanti dal traffico di stupefacenti. Le banche e gli enti finanziari vennero, difatti, investiti dell’obbligo (e non già di una facoltà) di identificare i loro clienti e segnalare alle Autorità competenti le operazioni ritenute sospette.
La figura del whistleblower (dall’inglese, “soffiatore di fischietto”) è, poi, comparsa nell’art. 54 bis, avente ad oggetto la “[t]utela del dipendente pubblico che segnala illeciti” del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, poi modificato dall’art. 1, comma 1, della Legge 30 novembre 2017, n. 179, recante “[d]isposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”, con cui si è assistito, per l’appunto, ad un’estensione dell’istituto, altresì, al settore privato e ad un rafforzamento della tutela offerta al soggetto denunciante, senza dimenticare la Legge 6 novembre 2012, n. 190, contenente “[d]isposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”.
2. Il ritardato recepimento della Direttiva (UE) 2019/1937: il D. Lgs. 10 marzo 2023, n. 24
Da ultimo, è stato elaborato il D.Lgs. 10 marzo 2023, n. 24, recante “[a]ttuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”, che ha appunto incluso in un solo testo la regolamentazione concernente i canali di segnalazione e la protezione “delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato”
(art. 1, comma 1).
Nel successivo comma, il Legislatore ha specificato come le disposizioni del Decreto Legislativo in questione non trovino applicazione “a) alle contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale della persona segnalante o della persona che ha sporto una denuncia all’autorità giudiziaria o contabile che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico, ovvero inerenti ai propri rapporti di lavoro o di impiego pubblico con le figure gerarchicamente sovraordinate; b) alle segnalazioni di violazioni laddove già disciplinate in via obbligatoria dagli atti dell’Unione europea o nazionali indicati nella parte II dell’allegato al presente decreto ovvero da quelli nazionali che costituiscono attuazione degli atti dell’Unione europea indicati nella parte II dell’allegato alla direttiva (UE) 2019/1937, seppur non indicati nella parte II dell’allegato al presente decreto; c) alle segnalazioni di violazioni in materia di sicurezza nazionale, nonché di appalti relativi ad aspetti di difesa o di sicurezza nazionale, a meno che tali aspetti rientrino nel diritto derivato pertinente dell’Unione europea”.
Dopo aver delineato l’ambito di applicazione soggettivo all
’art. 3, il Capo II del provvedimento è stato dedicato alle segnalazioni interne ed esterne, all’obbligo di riservatezza e alle divulgazioni pubbliche.
In particolar modo, nell’esporre i canali di segnalazione, è stato previsto come le segnalazioni debbano essere trasmesse tramite i canali predisposti da interpellare in via prioritaria, secondo l’ordine specificatamente preimpostato, atto a privilegiare una risoluzione interna della questione piuttosto che una sua pubblicizzazione esterna: canale interno, canale esterno (di gestione dell’ANAC), divulgazioni pubbliche e denuncia all’autorità giudiziaria o contabile.
Come si evince dal dato letterale della norma di cui all’
art. 6, debbono sussistere precise condizioni per poter procedere ad una segnalazione esterna, la quale sembra essere stata pensata dal Legislatore quale extrema ratio privilegiando l’impiego di un canale interno di comunicazione ed il contenimento di tali notizie ovvero: a) nel caso in cui non sia prevista l’attivazione obbligatoria del canale di segnalazione interna ovvero questo, anche se obbligatorio, è inattivo o, anche se attivato, non in linea con quanto disposto dall’
art. 4; b) se la persona segnalante ha già effettuato una segnalazione interna ai sensi del predetto articolo e la medesima non ha avuto seguito; c) la persona segnalante ha fondati motivi di ritenere che, nell’eventualità di una segnalazione interna, non vi sarebbe alcuna presa in considerazione della stessa ovvero vi sarebbe il rischio di ritorsione; d) la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse.
3. La facoltà di segnalazione orale: una dubbia possibilità o un errore normativo?
L’art. 4, nel definire i canali di segnalazione interna, statuisce come i soggetti del settore pubblico ed i soggetti del settore privato, sentite le rappresentanze o le organizzazioni sindacali (senza alcuna menzione ad eventuali termini perentori), attivino propri canali di segnalazione che assicurino, attraverso il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza dell’identità del whistleblower, della persona coinvolta, della persona menzionata nella segnalazione e del contenuto della segnalazione, oltre che della relativa documentazione.
La gestione del canale di segnalazione viene affidata ad una persona o ad un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificatamente formato per la gestione del canale di segnalazione, ovvero è affidata a un soggetto esterno, autonomo e con personale specificatamente formato (mancando, il Decreto, di enunciare la tipologia della formazione da ricevere per poter svolgere al meglio tale compito e soprattutto da quale ente debba essere rilasciata).
Il terzo comma di tale articolo, su cui sono sorte le maggiori perplessità, specifica che le segnalazioni “sono effettuate in forma scritta, anche con modalità informatiche, oppure in forma orale. Le segnalazioni interne in forma orale sono effettuate attraverso linee telefoniche o sistemi di messaggistica vocale ovvero, su richiesta della persona segnalante, mediante un incontro diretto fissato entro un termine ragionevole”.
In primo luogo, si evince come la forma orale della segnalazione debba porsi in via alternativa rispetto a quella scritta e come le segnalazioni interne orali possano essere anche effettuate in sede di incontro diretto entro un termine ragionevole all’ufficio preposto.
La lacunosità di tale assunto parla da sé, giacché mancante di specifiche indicazioni rispetto a plurimi aspetti: assenza di un termine perentorio entro cui fissare l’incontro finalizzato alla segnalazione con possibilità di aggravamento della situazione oggetto di futura denuncia; assenza di quanti soggetti debbano essere presenti all’incontro (vd., ad esempio, la partecipazione di testimoni); assenza delle modalità di svolgimento dell’incontro; assenza di procedure volte ad evitare ogni forma di manipolazione e di “insabbiamento” delle informazioni riferite in sede di controllo.
Incredibilmente, poi, tale possibilità di segnalazione orale, tramite incontro diretto, la si rinviene anche all’
art. 7, dedicato ai canali di segnalazione esterna, tramite l’ANAC, facendo pensare non già ad una svista normativa ma ad un vero e proprio sistema così articolato.
4. L’assenza di sanzioni per la mancata implementazione dei canali interni di segnalazione
Dal D. Lgs. n. 24/2023, non sembrano ricavarsi dati utili volti a definire attività di monitoraggio, tempistiche e sanzioni, da parte dell’ANAC, circa la non corretta implementazione dei canali interni di segnalazione, facendo sì che la norma resti solo un dettato sulla carta, non già correttamente attuata.
Ciò troverebbe anche la sua conferma nel Monitoraggio svolto proprio dall’ANAC, con un questionario (sotto forma di indagine anonima, resa disponibile dal 4 al 22 dicembre dello scorso anno) sottoposto ai soggetti di entrambi i settori coinvolti, chiamati ad attivare i canali interni di segnalazione nelle proprie amministrazioni/enti.
In particolare, è emerso che “i soggetti coinvolti sono stati individuati spesso nel OdV, RPCT, Responsabile delle risorse umane, Responsabili compliance e internal audit, Comitato WB, Comitato etico, Uffici legali. In altri pochi casi si è fatto riferimento anche a soggetti esterni o all’amministratore delegato/CEO, al facilitatore e agli uffici interni competenti”, dichiarando la maggior parte (n. 122) di affidare la gestione ad un soggetto interno (OdV, Organismo di internal audit, Organo collegiale interno preposto, RPCT, Ufficio compliance, Responsabile risorse umane).
Qui un dato molto interessante e, altrettanto, preoccupante rispetto alla corretta implementazione della normativa ovvero “[a]i fini della trattazione della segnalazione, molti hanno precisato che il gestore può avvalersi della collaborazione di altri uffici interni o soggetti apicali di altre unità organizzative individuate dalla normativa interna. Nell’ambito del coordinamento con gli altri uffici/organi, diversi soggetti hanno dichiarato altresì che il gestore trasmette un’informativa dell’attività effettuata agli organi di controllo (ad esempio, Collegio sindacale, OdV) e/o al direttore generale/direzione aziendale per dare seguito alla segnalazione. In particolare, a questi ultimi è demandato il compito di supervisionare, e, in alcuni casi, di verificare la valutazione del gestore e definire eventuali sanzioni e/o azioni correttive”, dimenticando come, ai sensi dell’art. 4, secondo comma, del Decreto Legislativo in questione, l’attività del gestore debba contraddistinguersi per il proprio carattere autonomo, indipendente ed imparziale.
5. Conclusioni
Dalle considerazioni sopraesposte, è possibile trarre le seguenti conclusioni.
La normativa, giunta in ritardo rispetto alla Direttiva europea del 2019, non lascia dubbi sulla propria incompletezza rispetto ad elementi essenziali per il corretto espletamento dei dettami europei.
Principalmente, l’“errore”, se così può essere menzionato, è stato quello di privilegiare una risoluzione interna della segnalazione, con mancanza di controlli e sanzioni rispetto ad eventuali profili di fallace implementazione della normativa soprattutto con riferimento alla nomina del soggetto interno o esterno “autonomo” addetto alla gestione della segnalazione per il quale non è specificata la formazione che debba aver previamente ricevuto per assumere quel ruolo, minando, così, anche la figura del segnalante che potrà trovarsi sfiduciato rispetto ad una gestione “eccessivamente” interna e possibilmente manipolata, al fine di tutelare più l’azienda o l’ente coinvolto.
Inoltre, non si comprende la parificazione della modalità orale della segnalazione con quella scritta, lasciando ulteriore campo libero a forme di gestione impropria della segnalazione, con tutte le conseguenze già richiamate tanto per il segnalante quanto per l’amministrazione/ente.
Ciò che si nota è, invece, la presenza di “grandi numeri”, per dare maggiore rilevanza alla normativa, rispetto alle sanzioni amministrative irrogate dall’ANAC, all’
art. 21, nei confronti del responsabile ovvero, “a) da 10.000 a 50.000 euro quando accerta che sono state commesse ritorsioni o quando accerta che la segnalazione è stata ostacolata o che si è tentato di ostacolarla o che è stato violato l’obbligo di riservatezza di cui all’articolo 12; b) da 10.000 a 50.000 euro quando accerta che non sono stati istituiti canali di segnalazione, che non sono state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni ovvero che l’adozione di tali procedure non è conforme a quelle di cui agli articoli 4 e 5, nonché quando accerta che non è stata svolta l’attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute; c) da 500 a 2.500 euro, nel caso di cui all’articolo 16, comma 3, salvo che la persona segnalante sia stata condannata, anche in primo grado, per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile”.
Di conseguenza, ciò che si rileva è la necessità di una maggiore rigorosità dei termini normativi impiegati, con il bisogno futuro di un ulteriore intervento legislativo atto a delineare, con maggiore specificità, tutti quei profili che, ad oggi, risultano carenti con nette ripercussioni sul corretto espletamento della normativa.
Fonte: https://www.altalex.com/documents/news/2024/11/16/whistleblowing-criticita-normativa-incompleta