Sicurezza sul lavoro: la responsabilità penale è solo del datore di lavoro?
La delega dello svolgimento delle funzioni datoriali ha portato a un allargamento a macchia d’olio dei soggetti coinvolti nella prevenzione e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori
di Antonio Di Santo
In Italia, la sicurezza sul lavoro rappresenta un tema scottante, controverso in ambito normativo, giudiziario e politico nonché anche molto attuale, se consideriamo l’alto numero di morti sul lavoro soprattutto in campo di imprenditoria privata edile.
Se, un tempo, il ruolo chiave nella tutela della sicurezza dei lavoratori risiedeva esclusivamente nelle mani del datore, ad oggi si è assistito ad una verticalizzazione dello stesso, con un potere di delega che si è andato sempre più espandendo e, nelle realtà imprenditoriali più sviluppate, con una maggiore difficoltà, da parte del datore, di essere fisicamente presente allo svolgimento quotidiano delle mansioni da parte del proprio personale.
Il discorso diventa, poi, più complicato se voltiamo lo sguardo a tutte quelle realtà ove risulta assente una regolarizzazione del personale (lo stesso risulta per gran parte di nazionalità estera e con difficoltà di comprensione della lingua italiana, la cui conoscenza, anche se basica, si pone, al contrario, come essenziale per un corretto espletamento delle mansioni, soprattutto, nel succitato campo dell’edilizia considerato ad “alto rischio”) e una vera e propria formazione in ambito di sicurezza sul lavoro, ovvero a tutti quei lavoratori assunti con contratti di apprendistato ma svolgenti, a tutti gli effetti, mansioni da lavoratori esperti.
1. Il datore di lavoro: tra obblighi civilistici e penali per la tutela della salute psico-fisica del prestatore di lavoro
Tralasciando i principi più generici offerti dalla nostra Carta costituzionale, è possibile subito rintracciare l’art. 2086 c.c., il quale, fin da subito, specifica come l’imprenditore sia il capo dell’impresa da cui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori e l’art. 2087 c.c., secondo cui è compito dell’imprenditore provvedere all’adozione, nell’esercizio della propria attività d’imprese, di tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, siano indispensabili per la tutela fisica e morale dei lavoratori.
Ciò premesso, è possibile passare all’esame delle disposizioni racchiuse in quella che rappresenta la “Bibbia” in tema di sicurezza sul lavoro ovvero il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, contenente il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, che, all’art. 2, comma 1, lett. b), primo periodo, definisce il datore quale “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
Come si evince dalla lettura sempre del D.Lgs. n. 81/08, il datore di lavoro ha due compiti fondamentali da svolgere in prima persona e, pertanto, non delegabili: valutare i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, inclusa la redazione del relativo Documento di Valutazione Rischi (“D.V.R.”) nonché nominare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (“R.S.P.P.”).
In materia, con la
sentenza n. 4075/2021 gli Ermellini confermavano la condanna di un datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore apprendista, per la precipitazione della cabina di un ascensore su cui stava lavorando su richiesta del datore medesimo, nonostante la mancata inclusione del rischio di precipitazione nel D.V.R.
Più recentemente, con la
sentenza n. 2557/2024 la Cassazione ha, altresì, specificato, come, nonostante la formazione del lavoratore circa uno specifico rischio, residua sempre in capo al datore di lavoro – condannato nel caso di specie – l’obbligo di includere tale fonte di rischio nel D.V.R., al fine di limitare la discrezionalità del lavoratore nell’espletamento delle proprie attività.
Come avremo modo di affrontare nei successivi paragrafi, il datore di lavoro ha la possibilità di delegare, non già parte delle sue responsabilità, ma talune sue funzioni.
La delega può, quindi, costituire uno strumento assai utile per il fluente svolgimento delle funzioni aziendali soprattutto in contesti complessi e altamente strutturati ove il datore di lavoro non è in grado di essere presente su ogni profilo, fermo restando, però, il mantenimento dell’obbligo di vigilanza, da parte dello stesso, sul corretto svolgimento della delega da parte dei soggetti preposti alle diverse attività (
Cass., n. 10702/2012).
2. Il portavoce del datore di lavoro, il “controllore” dei lavoratori e il consulente aziendale: il ruolo del dirigente, del preposto e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione
Altre tre importanti figure nell’ambito di un organigramma aziendale sono rappresentate dal dirigente, definito dall’art. 2, comma primo, lett. d), del D.Lgs. n. 81/08, quale “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”, dal preposto, definito dall’art. 2, comma primo, lett. e), del D.Lgs. n. 81/08, quale “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa” e dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione, definito dall’art. 2, comma primo, lett. f), del D.Lgs. n. 81/08, quale “persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi”.
Con la
sentenza n. 48302/2017, la Suprema Corte ha affermato, rievocando un precedente e pacifico orientamento giurisprudenziale di legittimità, come l’assunzione, anche solo in via di fatto e non già solo per investitura formale, della qualità di dirigente o di preposto comporta, secondo il criterio di effettività, l’acquisizione della relativa posizione di garanzia in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro (
Cass. pen., n. 22247/2014 e
Cass. pen., n. 2536/2016). In tal senso, ad avviso degli Ermellini, sarà indispensabile, soprattutto in tema di reati omissivi colposi, esaminare la concreta organizzazione della gestione del rischio (Cass. pen., n. 25527/2007 e
Cass. pen., n. 7921/2016).
Per quanto riguarda, invece, l’R.S.P.P., la Suprema Corte ha sempre analizzato con cura le funzioni svolte da questa figura, registrandosi anche decisioni di condanna. Con la
sentenza n. 34311/2018, gli Ermellini ritenevano responsabili per omicidio colposo tanto il datore di lavoro quanto l’R.S.P.P., dal momento che costui non aveva aggiornato la procedura periodica di verifica dell’efficienza delle sicurezze dell’impianto elettrico ed aveva mancato di individuare i rischi connessi alle attività quotidiane di ingrassaggio nel D.V.R., facendo sì che un operaio rimanesse schiacciato tra gli alberi rotanti di un impianto di betonaggio mentre stava svolgendo operazioni di lubrificazione delle parti interne della vasca di mescolamento, per via del riavvio dell’impianto da parte di un altro lavoratore non accortosi delle attività in corso.
Ad ogni modo, però, come più recentemente statuito, la responsabilità penale del R.S.P.P. non potrà definirsi esclusiva ma, al più, concorrente, atteso che “la valutazione del rischio è funzione tipica del datore di lavoro, non delegabile neppure attraverso il conferimento di una delega di funzioni ad altro soggetto e le eventuali carenze nell’attività di collaborazione alla redazione del DVR da parte del RSPP possono, al più, comportare una responsabilità concorrente, ma non esclusiva di quest’ultimo” (
Cass. pen., n. 21153/2023).
3. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza: la rivoluzionaria attribuzione di responsabilità penale da parte della Suprema Corte
Il rappresentante de lavoratori per la sicurezza rappresenta una figura che è stata al centro di svariate polemiche negli ultimi mesi, complice una tanto discussa pronuncia di legittimità (
Cass. pen., n. 38914/2023), che ha riconosciuto in capo a tale figura, definita dall’art. 2, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 81/08 quale “persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”, una responsabilità di carattere penale, per non aver, nella fattispecie in esame, promosso l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a garantire la salute e la sicurezza dei prestatori di lavoro e per aver determinato, in concorso con il datore, il sinistro mortale di un lavoratore rimasto schiacciato da un fascio di tubolari scivolati da una scaffalatura.
Sul punto, la Cassazione ha sottolineato come “l’art. 50 D. Lgs. n. 81 del 2008, che ne disciplina le funzioni e i compiti, attribuisce al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ciò detto, è bene precisare che, nel caso di specie, viene in rilievo non se l’imputato, in tale sua veste, ricoprisse o meno una posizione di garanzia intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati ad impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire (art. 40 cpv. c.p.) – ma se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’art. 113 c.p.”.
Si tratta di una pronuncia di rilevanza essenziale che ha fattivamente esteso l’ambito di responsabilità penale dall’unico centro del datore di lavoro anche alla figura, più residuale, del R.L.S., seppur sarà necessario attendere i successivi orientamenti giurisprudenziali per comprendere meglio la portata di tale decisione.
4. La funzione propulsiva del medico competente
Un’altra importante funzione è svolta dal medico competente definito, dall’art. 2, comma primo, lett. h), come il “medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all’articolo 38, che collabora, secondo quanto previsto all’articolo 29, comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto”.
Sul punto, è interessante guardare alle più recenti pronunce di legittimità da cui si evince l’attribuzione di un ruolo attivo in capo al medico competente, chiamato ad operare di concerto con il Datore di Lavoro, in qualità di titolare di un’autonoma posizione di garanzia (Cass. pen., n. 19856/2020), per assicurare la miglior tutela della salute e sicurezza dei prestatori di lavoro.
Invero, con la
sentenza n. 6885/2017, ha affermato come il medico competente debba programmare ed effettuare la sorveglianza sanitaria prevista dall’art. 41 del D.Lgs. n. 81/08, “attraverso protocolli sanitari definiti in ragione ai rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati, sicché i protocolli sanitari, in tema di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, non escludono che il medico aziendale possa prescrivere accertamenti più approfonditi di quelli necessari che, in quanto prescritti dalla buona arte medica, sono perciò contemplati in linee guida o protocolli accreditati dalla comunità scientifica”, aggiungendo, con la pronuncia Cass. pen., n. 21521/2021 (conformemente a
Cass. pen., n. 38402/2018), come il medico competente non debba limitarsi ad un ruolo passivo, bensì debba “dedicarsi ad un’attività propositiva e informativa in relazione al proprio ambito professionale”.
5. La responsabilità colposa del lavoratore
Se, fino ad ora, abbiamo analizzato le diverse figure poste a garanzia del lavoratore, è necessario, da ultimo, esaminare la figura del prestatore medesimo, il quale dall’art. 2, comma primo, lett. a), primo periodo, del D.Lgs. n. 81/08, viene definito nei termini di una “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”.
Seppur il lavoratore sia tenuto, oltre a frequentare i corsi di formazione, ad indossare i dispositivi di protezione individuali o collettivi e ad agire sempre con diligenza e prudenza, vi possono essere dei casi di condotta colposa dello stesso, con un esonero di responsabilità da parte del datore di lavoro regolarmente adempiente rispetto all’applicazione della specifica normativa antinfortunistica.
Nonostante, invero, le norme antinfortunistiche siano delineate al fine di evitare, altresì, “il comportamento imprudente, negligente o dovuto ad imperizia dello stesso lavoratore” (
Cass. pen., n. 12348/2008), vi possono essere delle fattispecie in cui questo tenga un comportamento abnorme, in grado di escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore e l’evento lesivo.
Affinché ciò si verifichi, non è indispensabile che la condotta del prestatore di lavoro sia imprevedibile “quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia” (
Cass. pen., n. 5794/2021). Segnatamente, “[…] perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questo abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante” (Cass. pen., n. 27871/2019).
6. Conclusioni
Dalle già indicate considerazioni è possibile trarre le seguenti conclusioni.
Negli ultimi anni, l’individuazione dei confini del campo di responsabilità penale del datore di lavoro risulta di non facile attuazione, dal momento che la delega dello svolgimento delle funzioni datoriali ha portato ad un allargamento a macchia d’olio dei soggetti coinvolti nell’organizzazione aziendale in materia di prevenzione e tutela della salute e sicurezza dei prestatori di lavoro.
Una situazione di non facile risoluzione che viene messa in mano ai giudici, chiamati a decidere anche rispetto a vicende ove risultino mancanti formali attribuzioni di ruolo ed ove sia, quindi, necessario guardare alla realtà fattuale della gestione organizzativa di un’azienda, con tutte le difficoltà del caso.
Ciò che emerge da una lettura della maggioritaria giurisprudenza degli ultimi anni, è, altresì, la modalità, talvolta, superficiale con cui viene ad esplicarsi il ruolo di garanzia attribuito tanto ai soggetti interni quanto a quelli esterni all’azienda, complice anche l’elevato ritmo del mondo del lavoro e l’impossibilità di presenziare, a loro volta, ad ogni attività aziendale a questi delegata.
A tutto questo contribuisce anche la modalità di svolgimento, da parte di taluni prestatori di lavoro, delle proprie attività, che, con un maggiore livello di diligenza, potrebbero portare ad un rischio inferiore di accadimento di infortuni.
Risulta, quindi, chiaro che con un pizzico di collaborazione e premura in più da parte di tutti i soggetti coinvolti potrebbero venirsi ad evitare svariati infortuni, soprattutto mortali, con un alleggerimento anche del carico giudiziario e una reale prevenzione della salute e sicurezza dei lavoratori, che non rimanga solo su un pezzo di carta.