Impiego dei minori sulle piattaforme digitali: l’ascesa dei baby e kid influencers
Siamo sicuri che sia solo un gioco? La tutela giuslavoristica del minore in Italia e l’esempio virtuoso della Francia
di Antonio Di Santo – Avvocato
Parlare nel 2024 (ormai quasi 2025) di sfruttamento di lavoro minorile, potrebbe apparire, in prima battuta, come un’assurdità ma, se volgiamo lo sguardo al panorama dei social network (Youtube, Instagram e Tik Tok), tale fenomeno, tanto in Italia quanto nel resto del mondo (soprattutto negli USA), sembrerebbe addirittura in crescita.
I baby e kid influencers sono, invero, quei minori (anche infra-quattordicenni) che, ad oggi, tramite la pubblicazione di video e video sulle piattaforme digitali sono in grado di costruire un vero e proprio impero economico, grazie soprattutto alle ali protettrici dei genitori che, molto spesso, assumono le vesti di abili manager, anche non curanti dei danni psicofisici che nel lungo periodo i figli potrebbero subire.
Sottraendoci da ogni possibile giudizio morale rispetto a tale pratica che, riflettendoci bene, prende le mosse dall’impiego dei minori nel mondo dello spettacolo, il focus di tale intervento sarà concentrato sugli aspetti giuridici per cercare di comprendere quanto l’impiego dei minori sulle piattaforme digitali possa etichettarsi nei termini di un mero momento di gioco o meno.
1. Il fenomeno dei baby e kid influencers: la zona grigia del web
In Italia, i baby e kid influencers sono davvero molti.
Bambini e ragazzini anche minori degli anni 14 (di regola, a cui sarebbe vietato aprire un proprio account sui social) che, avendo un proprio profilo ovvero comparendo quotidianamente su un profilo aperto da uno o entrambi i genitori, riescono anche a “monetizzare” la propria presenza sul web, tramite le views e le campagne di sponsorizzazione di beni e/o servizi da parte di plurimi brand interessati a ricevere maggiore risonanza mediatica attraverso l’associazione ad un determinato “personaggio” popolare in quel momento.
Un vero e proprio lavoro che, oltre all’apparente attività di divertimento, cela serrate scadenze di lavoro, con oneri anche contrattuali, che sembrano poco andare d’accordo con la creatività e la spensieratezza che dovrebbero contraddistinguere delle attività ludiche (ragazzini costretti a sorridere, divertirsi, ballare, cantare, cucinare, ad indossare abiti da sponsorizzare, ad affrontare veri e propri viaggi di lavoro per pubblicizzare strutture alberghiere family friendly o presenziare ad eventi, il tutto accompagnato dagli hashtag #adv, #gifted o #invitedby).
A chi, poi, “osa” gridare allo scandalo, viene risposto che tali attività costituiscono pur sempre un divertimento e che i genitori sono sempre presenti, con tanto di account aperto a loro nome (pur “commercializzando” di fatto i propri figli e lucrando sulla loro immagine – basti pensare che in America tali “fenomeni” rappresentano un business da capogiro, arrivando a valere anche centinaia di milioni di dollari).
Inquadrato così il sistema, viene da porsi un elementare quesito ovvero esiste una regolamentazione a tale evento che non sta conoscendo moderatezza, che possa tutelare il minore, non solo da un possibile sfruttamento economico ma, altresì, da una (sovra)pubblicazione anche non consensuale sul web, con un’esposizione mediatica anche al rischio di bullismo e molestie da parte dell’utenza (c.d. “haters”) o addirittura anche alla pedopornografia?
2. La situazione normativa in Italia per la tutela giuslavoristica del minore
Come riporta un articolo pubblicato sul blog di Save the Children l’11 aprile dello scorso anno, in Italia sono il 5,7% i minori che svolgono attività di lavoro online, tra cui anche la pubblicazione di contenuti per i social.
Nel nostro Paese, l’istituto del lavoro minore risulta disciplinato dalla
Legge 17 ottobre 1967, n. 977, avente ad oggetto le disposizioni normative sul lavoro dei minori degli anni diciotto, ovvero dei bambini da intendersi quali quei minori con un’età inferiore agli anni quindici o che ancora soggetti alla scuola dell’obbligo (
art. 1, comma 2, lett. a)) e degli adolescenti quali minori di età compresa tra i 15 ed i 18 anni di età e non più soggetti all’obbligo scolastico (art. 1, comma 2, lett. b)).
Come si evince dal dato legislativo, soltanto i minori che abbiano compiuto 16 anni di età, previo riconoscimento dell’idoneità all’attività lavorativa a cui dovranno essere adibiti a seguito di visita medica, potranno, appunto, svolgere attività professionale.
Le uniche deroghe a tale limite di età potranno essere ammesse ai fini dello svolgimento di attività lavorative di natura culturale, artistica, dello spettacolo o pubblicitario, a patto che sia precedentemente intervenuta l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro competente per territorio (solo laddove trattasi di rapporto di lavoro subordinato), che venga tutelata l’integrità psico-fisica del minore, la sua frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento professionale o formativo nonché, da ultimo, il consenso di entrambi i genitori per la sottoscrizione del contratto di lavoro.
Come già sopra richiamato, visto che l’impiego di minori sul web ripercorre le orme dell’utilizzo di minori nel mondo dello spettacolo, è bene anche menzionare la normativa contenuta nel
Decreto 27 aprile 2006, n. 218 emesso dal Ministero delle Comunicazioni, circa l’impiego di minori infraquattordicenni in programmi televisivi, composto da quattro articoli, secondo cui, all’
art. 2, comma 1, all’interno dei programmi radiotelevisivi, inclusi quelli di intrattenimento e di natura sociale o informativa, l’impiego dei minori di anni quattordici deve esplicarsi “con il massimo rispetto della dignità personale, dell’immagine, dell’integrità psicofisica e della privacy”.
3. La PDL n. 1771/2024: l’ennesimo disegno di legge finito nel dimenticatoio?
Tale situazione, la quale, non può, di certo, essere ignorata, ha portato al deposito di svariati disegni di legge, tra cui la PDL n. 1771/2024.
Il 12 marzo 2024, è stata, invero, presentata alla Camera dei deputati la proposta di legge n. 1771, su iniziativa della deputata SPORTIELLO Gilda del Movimento Cinque Stelle, recante “[m]odifiche alla legge 17 ottobre 1967, n. 977, in materia di impiego dei minori nell’ambito delle piattaforme digitali di condivisione di contenuti multimediali, nonché disposizioni sulla diffusione dell’immagine e di contenuti multimediali di minori”.
Come riportato nelle premesse, “[l]a presente proposta di legge, estendendo l’applicazione della disciplina giuslavoristica ai baby influencer, comporta che qualsiasi altro impiego dell’immagine di un minore, salvi più gravi reati, trova tutte le necessarie tutele già dettate dall’articolo 10 del codice civile, dagli articoli 96 e 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio nonché dalle Carte internazionali sulla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza”.
In tale prospettiva, la deputata SPORTIELLO ricordava anche la tutela dell’identità digitale e dei dati personali dei minori.
Invero, l’art. 8 del regolamento UE 2016/679 (c.d. “GDPR”) stabilisce il limite di età di sedici anni per il consenso al trattamento dei dati personali da parte dei minori in forma autonoma; limite che, nel nostro Paese, è stato abbassato a quattordici anni, con necessità del consenso del titolare della responsabilità genitoriale per l’accesso ai servizi digitali al di sotto di esso.
La proposta di legge, composta da cinque articoli, ha lo scopo di intervenire sulla soprarichiamata Legge n. 977/1967, prevedendo all’art. 1 come l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro all’impiego dei minori degli anni quindici “in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo, purché si tratti di attività che non pregiudicano la sicurezza, l’integrità psicofisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale” sia temporalmente limitata ad un periodo non superiore a sei mesi e rinnovabile, con un controllo continuo, rispetto alla possibile instaurazione di situazioni lesive della persona del minorenne.
La novella maggiore si rinviene nel nuovo art. 4-bis, in ambito di impiego di minori sulle piattaforme digitali di condivisioni di contenuti multimediali, estendendo l’applicazione della succitata Legge n. 977/1967, altresì, a tale nuovo contesto lavorativo, con la previsione di un regolare contratto di lavoro, laddove si superi un determinato arco temporale o reddito determinato proprio dallo svolgimento di tale attività di sfruttamento commerciale del minore.
È stato, altresì, previsto che, nell’eventualità di autorizzazione ai minori di anni quindici, debba essere la direzione provinciale del lavoro a fornire ai genitori e a coloro che impiegano il minore le informazioni concernenti la tutela dei diritti del minore e l’impatto sulla vita privata del minore, oltre agli obblighi finanziari riguardanti gli introiti derivanti dall’impiego del minore.
Inoltre, nel caso di superamento di una certa soglia dei redditi prodotti, direttamente ed indirettamente, dall’impiego del minore, questi devono essere versati su un conto corrente gestito, fino al raggiungimento della maggiore età da parte del minore, da un curatore speciale nominato dal tribunale del luogo di residenza o domicilio del minore, con possibilità di lasciare una quota nella disponibilità del minore ultra sedicenne ovvero degli esercenti la responsabilità genitoriale per essere impiegata e rendicontata, sempre nell’interesse primario del minore.
L’art. 2 ha lo scopo di incrementare le tutele di riservatezza circa la diffusione dell’immagine dei minori, con una previsione di esercizio del diritto all’oblio per chi abbia compiuto quattordici anni, con un preciso onere di garanzia in capo agli esercenti la responsabilità genitoriale nei confronti del minore, il quale dovrà esprimere il proprio consenso alla pubblicazione della propria immagine, congiuntamente a quello dei genitori, di cui sarà necessario tenere conto in relazione alla sua età e al suo grado di maturità.
L’art. 3 riguarda, invece, la regolamentazione della diffusione di contenuti multimediali di minori da parte dei servizi delle piattaforme digitali, tramite l’adozione di un codice di regolamentazione, da definire con atto dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, congiuntamente al Garante per l’infanzia e l’adolescenza e al Garante per la protezione dei dati personali, sentito il Comitato di applicazione del codice di autoregolamentazione media e minori.
L’art. 4 è, poi, finalizzato all’innalzamento dell’età del c.d. “consenso digitale” del minore, dai quattordici ai sedici anni, con una modifica al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. “Codice in materia di protezione dei dati personali”). Invero, il c.d. “GDPR” ha fissato a quattordici anni l’età e, segnatamente, l’art. 8 dello stesso Regolamento ha stabilito che, in materia di offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento dei dati è da considerarsi legittimo a partire dagli anni sedici, permettendo, ad ogni modo, ai Paesi membri di derogare a tale limite, senza, tuttavia, scendere mai al di sotto dei tredici anni.
L’art. 5 ha, da ultimo, disposto l’obbligatorietà di presentare una relazione alle Camere circa l’efficacia delle misure adottate in virtù della novella legislativa.
La presente proposta di legge, dal contenuto certamente auspicabile, risulta ancora, dal 26 giugno u.s., sotto esame della Commissione e bisognerà, pertanto, attendere per comprendere gli ulteriori sviluppi legislativi.
4. L’esempio virtuoso della Francia: cosa aspetta l’Italia?
La Francia ha rappresentato il primo Paese ad aver approvato il 19 ottobre 2020 una legge, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il giorno successivo (Loi du 19 octobre 2020 visant à encadrer l’exploitation commerciale de l’image d’enfants de moins de seize ans sur les plateformes en ligne) avente lo scopo di disciplinare, a livello normativo, lo sfruttamento commerciale dell’immagine dei minori di anni sedici sulle piattaforme digitali.
Si è trattato di un rilevante passo in avanti che ha riconosciuto l’impiego dei minori sul web quale un vero e proprio lavoro, imponendo ai genitori di questi precisi oneri giuridici, soprattutto sul profilo economico, atti a tutelare la persona del minore sotto plurimi aspetti (come, ad esempio, il riconoscimento del diritto all’oblio rispetto ai contenuti pubblicati sulle piattaforme digitali).
Non solo i genitori hanno l’obbligo di versare gli introiti derivanti dal lavoro svolto dal minore su un conto intestato a costui, ma gli stessi sono tenuti ad espletare un previo iter presso l’autorità pubblica locale, al fine di ottenere l’autorizzazione all’impiego dei minori sulle piattaforme digitali.
5. Conclusioni
Come si può evincere dalle considerazioni sopraesposte, il fenomeno in questione ha ormai raggiunto rilevanza globale.
Rimanere impassibili ad osservare la sua continua e progressiva espansione costituisce, a parere di chi scrivere, un errore che costerà molto già nel breve periodo, posto che tale fenomeno riguarda bambini e ragazzini, il cui corretto sviluppo psicofisico risulta minacciato, molto spesso, da genitori senza scrupoli, pronti a tutto, pur di ottenere notorietà, fama e denaro facile, altresì, sfruttando l’immagine dei propri figli.
Insomma, etichettare i video che sono soliti circolare sui social e sul web come semplici momenti ludici risulta essere un tentativo grossolano di occultamento di vere e proprie attività economiche, in grado di sostenere, nei casi più “fortunati”, anche intere famiglie.
Come sempre, laddove l’esempio non possa provenire dal singolo cittadino, è la legge che dovrà attivarsi, prendendo le mosse dai vari disegni di legge già presentati in passato, al fine di regolamentare tali situazioni ed impedire l’instaurarsi di situazioni di vero e proprio sfruttamento commerciale ai danni di soggetti minorenni.
È chiaro, però, che anche una “semplice” legge non sarebbe in grado di plasmare tale fenomeno, se non accompagnata da un capillare sistema di controlli, finalizzati ad una verifica costante, ad esempio, rispetto al possesso dei requisiti necessari (in primis, l’età necessaria) per l’apertura di un qualsivoglia account social e al superamento di eventuali espedienti volti a superare i diversi sbarramenti posti a tal fine, da parte dei minori lasciati sempre più a loro stessi, senza alcuna forma di vigilanza da parte di chi dovrebbe esercitare la propria “obbligatoria” responsabilità genitoriale.
È, altresì, palese come, trattandosi di un vero e proprio business che, nelle esistenti lacune normative, ha ormai trovato il suo posto nella sfera economica, sia ulteriormente difficile ma, al tempo stesso, doveroso un imminente intervento legislativo che possa estendere la normativa in materia di lavoro minorile anche all’ambito delle piattaforme digitali, con una novella che possa, altresì, essere al passo con i tempi di un mondo assai cambiato rispetto a quelli della sua emanazione.
Fonte: https://www.altalex.com/documents/news/2024/12/19/impiego-minori-piattaforme-digitali-ascesa-baby-kid-influencers