Giornalismo giudiziario e d’inchiesta: la lotta alle spettacolarizzazioni massmediali
Il difficile bilanciamento tra diritto di cronaca e tutela della privacy. Profili normativi e soluzioni giurisprudenziali
di Antonio Di Santo
Diritto alla riservatezza e interesse collettivo
Privacy e giornalismo. Tutela dei dati personali e partecipazione sociale. Due concetti che, in prima battuta, potrebbero apparire come antitetici ma che, ad una più attenta analisi, possono rivelarsi complementari e quasi interdipendenti.
Prima, però, di addentrarci nella particolareggiata disciplina inerente al panorama del giornalismo e, soprattutto, di quello giudiziario e d’inchiesta, risulta doveroso, ai fini di una sua maggiore comprensione, svolgere una breve disamina dello sfondo normativo che lo precede.
In tal senso, la nostra Carta costituzionale ha giocato un ruolo essenziale nell’aver gettato le fondamenta e instaurato precisi confini rispetto allo svolgimento dell’attività giornalistica; confini, sulla base dei quali, sono stati poi delineati i precetti deontologici, di cui alla
Legge professionale 3 febbraio 1963, n. 69.
In primo luogo, se, preliminarmente, l’art. 2 della Cost., contemplante il c.d. “diritto alla riservatezza”, afferma come sia compito della Repubblica riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, inteso sia come singolo sia all’interno delle formazioni sociali ove si esplica la sua personalità, l’art. 21, comma 1, della stessa Carta, avente ad oggetto il c.d. “diritto di cronaca”, statuisce come tutti abbiano il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero tramite parola, scritto o altro mezzo di diffusione, aggiungendo al successivo comma come la stampa non possa essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Un altro pilastro che merita attenzione è anche la già richiamata Legge n. 69/1963, la quale ha istituito l’Ordine professionale dei giornalisti, riportando importanti principi deontologici atti a guidare il corretto esercizio di tale mestiere (in primis, l’art. 2 avente ad oggetto “diritti e doveri”).
Da ultimo, non possono non menzionarsi il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali”, subentrato alla previgente
Legge n. 675/1996 e il D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, introdotto in attuazione del Regolamento dell’Unione Europea 24 maggio 2016, n. 679, meglio noto come “GDPR” (General Data Protection Regulation).
Giornalismo d’inchiesta: il recente “mantello di protezione” da parte della Suprema Corte
Con l’ ordinanza n. 30522 depositata il 3 novembre 2023, la Cass. civ., I Sez., non ha fatto mistero di voler apertamente tutelare l’operato del giornalismo d’inchiesta, che si differenzia dal giornalismo canonico per l’attività di informazione, ricerca ed acquisizione indipendente, da parte del professionista, riconoscendo sia ampia tutela ordinamentale a tale tipologia di attività sia una disciplina meno rigorosa rispetto al canone di verità.
Segnatamente, come si legge dalla decisione, gli Ermellini hanno affermato come tale attenuazione sia da ricondurre all’art. 21 Cost., allorquando “detto giornalismo indichi motivatamente un «sospetto di illeciti” con il suggerimento di una direzione di indagine agli organi inquirenti o una denuncia di situazioni oscure che richiedono interventi amministrativi o normativi per potere essere chiarite, sempre che riguardino temi sociali di interesse generale, alla condizione che «il sospetto e la denuncia» siano esternati sulla base di elementi obiettivi e rilevanti; infatti, nel giornalismo d’inchiesta il sospetto deve mantenere il proprio carattere «propulsivo e induttivo di approfondimento», essendo autonomo e, di per sé, ontologicamente distinto dalla nozione di attribuzione di un fatto non vero”.
Secondo la Cassazione, sarà essenziale guardare alla deontologia ovvero alla lealtà e alla buona fede che ha contraddistinto l’operato professionale del giornalista, per comprendere se trattasi o meno di un’azione puramente diffamatoria. Lealtà e buona fede che, considerati sic et simpliciter, risultano essere principi eccessivamente aleatori, soprattutto per la difficoltà probatoria, non indifferente, che comportano.
Peraltro, con tali criteri, la Suprema Corte ha anche dimostrato un certo discostamento, che può trovare la propria giustificazione nella particolare branca di giornalismo ivi considerata, rispetto ai corollati della libertà di stampa e del diritto di cronaca, fissati dalla risalente sentenza sempre di legittimità (
Cass. civ., Sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259), ovvero la veridicità del fatto pubblicato, la pertinenza della medesima e la continenza espressiva.
Qualche mese fa, con l’ordinanza n. 12773 del 10 maggio 2024, la stessa I Sez. Civ. della Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’argomento, consolidando l’orientamento già precedentemente assunto, anche in via più risalente (ex plurimis,
Cass. civ., n. 14727/2018;
Cass. civ., n. 16506/2019), osservando come il diritto di critica, differentemente dal diritto di cronaca che connota il giornalismo ordinario di informazione, sfocia in un giudizio che, in quanto tale, sarà di natura soggettiva, rispetto ai fatti pubblicati, a patto che sia orientato ad una verità, se non assoluta, ma ragionevolmente presunta per le fonti di provenienza o per altre circostanze oggettive in cui la notizia risulta inquadrata.
Giornalismo giudiziario e il primario ruolo di responsabilità del professionista
La cronaca giudiziaria non si presenta, parimenti, libera da insidie.
Nell’ambito di tale specifica forma di giornalismo, sarà, invero, fondamentale che vi sia un interesse pubblico alla notizia, il fatto corrisponda a verità e che sussista sempre la continenza espositiva. Il giornalista sarà, inoltre, chiamato a verificare che l’informazione da pubblicare sia essenziale.
Pensiamo, ad esempio, alla divulgazione mediante stampa (tanto cartacea quanto digitale) dei nomi di soggetti indagati o arrestati. La pubblicazione potrà avvenire solo se sussistente un preciso interesse pubblico, in assenza di specifici divieti giudizialmente imposti e laddove la notizia sia stata lecitamente acquisita. Onde evitare un’indebita lesione del principio di non colpevolezza, il giornalista dovrà poi precisare anche lo status in cui si trova il procedimento giudiziario.
Si pensi, poi, all’ipotesi della diffusione delle immagini segnaletiche e dei soggetti sottoposti alla misura dell’arresto. Ebbene, già con provvedimento dell’08 aprile 2003, il Garante per la protezione dei dati personali aveva esplicitato come non fosse consentito procedere alla pubblicazione sui giornali ovvero alla trasmissione in televisione delle immagini di persone arrestate in manette o sottoposte ad ulteriore strumento coercitivo di natura fisica, allorquando lesive del decoro della persona.
In particolar modo, le foto segnaletiche, altresì nell’ambito di conferenze stampa, possono essere sottoposte alla divulgazione solamente per fini di giustizia e di polizia ovvero in virtù di motivi di interesse pubblico, dovendo tutelare il diritto alla riservatezza e la dignità del soggetto coinvolto.
Un altro profilo da considerare è anche quello riguardante la diffusione dei nomi di persone condannate e dei destinatari di provvedimenti giurisdizionali. In linea generale, tali dati possono essere divulgati ma, in determinate particolari circostanze, potrebbero soggiacere al regime di segretezza (a mero titolo esemplificativo, segretazione degli atti del procedimento fino alla conoscenza da parte dell’indagato e alla chiusura delle indagini). Anche se, rispetto al caso degli indagati, vigeranno paletti meno restrittivi, essendo già intervenuto un provvedimento da parte dell’Autorità giudiziaria, con maggiore certezza rispetto alla colpevolezza del soggetto, sarà, sempre e comunque, onere del giornalista effettuare una valutazione, caso per caso, verificando che non vi siano ragioni impeditive alla diffusione, altresì rispetto alla tutela della vittima, la quale potrà venir lesa, soprattutto sul piano psichico, dalla divulgazione di tali notizie.
Come chiarito sempre dal Garante con un recente comunicato del 6 maggio u.s., in relazione alle altre immagini concernenti notizie su arresti, indagini e processi (ad esempio, foto tratte da documenti, foto private o scattate all’interno delle aule giudiziarie), queste, per essere oggetto di pubblicazione, dovranno essere state acquisite e poi impiegate in modo lecito e corretto, ai fini di una diffusione coscienziosa della notizia, evitando, appunto, episodi di c.d. “spettacolarizzazione” da parte dei mass-media.
Invero, il giornalista dovrà sempre fare riferimento anche alla volontà della vittima del reato, la quale potrebbe opporsi alla pubblicazione dei propri dati (pensiamo, ad esempio, a particolari casistiche di reati contro la persona, ove la vittima subisce, anche danni psico-fisici permanenti).
Stesso meccanismo di bilanciamento dovrebbe, parimenti, applicarsi rispetto alla divulgazione dei nomi di testimoni, di familiari e conoscenti.
Giornalista e blogger: l’equiparazione del Garante
Una precisazione importante riguarda, da ultimo, l’equiparazione statuita dal Garante, con il provvedimento n. 29 del 27 gennaio 2016, tra la figura del giornalista (professionista o pubblicista) e quella del blogger.
È stato, invero, statuito come la disciplina della privacy debba essere applicata anche all’attività di un blog, in virtù di quanto previsto dagli artt. 136 ss. del Codice che amplia la normativa sul trattamento dei dati personali in ambito giornalistico, altresì, ad ogni ulteriore attività di manifestazione del pensiero comportante trattamenti di dati personali, realizzata anche da persone che non esercitano l’attività giornalistica vera e propria.
Si è trattata di una pronuncia di primaria rilevanza, avendo esteso il medesimo novero di disposizioni regolatrici e tutele anche allo spazio del blog che, come noto, si differenzia di gran lunga dalla classica testata giornalistica, tanto cartacea quanto digitale, per la sua maggiore libertà espositiva, oltre che per l’assenza, almeno in buona parte dei casi, di un adeguato titolo per il corretto svolgimento dell’attività giornalistica.
Conclusioni
Come è possibile desumere dalle brevi considerazioni ivi esposte su un argomentocosì ampio e articolato su plurimi profili, la preferenza normativa è stata quella di puntare su criteri generali, evitando l’introduzione di disposizioni rigide sul punto, alla luce della vastità delle vicende di cronaca (tanto per contenuto quanto per soggetti coinvolti) che potrebbero venirsi ad instaurare.
Come è stato visto, gli elementi da considerare possono rilevarsi davvero svariati e mutevoli nel corso del tempo (pensiamo, ad esempio, all’interesse sociale rispetto alla singola notizia). In questo senso, si è preferito attribuire maggiore autonomia in capo al divulgatore, rimettendo a lui un senso di grande consapevolezza e di sensatezza rispetto ad una minuziosa opera di standardizzazione che non sarebbe in grado di adattarsi ad ogni singolo caso concreto, soprattutto in un’ottica di medio-lungo arco temporale.
Come parimenti applicabile in tante altre evenienze di diritto, un equo bilanciamento tra diritti e libertà risulta essere la chiave vincente, con un contemperamento dell’esigenza divulgativa da parte del giornalista, al fine di soddisfare l’interesse pubblico alla conoscenza.
Il professionista generalmente inteso, il quale avrà il maggior onere di responsabilità rispetto ad un operato corretto, sarà, quindi, chiamato ad acquisire lecitamente i propri dati, ad operare una previa attività di selezione rispetto alla sussistenza di eventuali interessi o limitazioni di senso contrario, in un’ottica generale di responsabilità e di autonomia nello svolgimento della propria attività tanto d’inchiesta quanto informativa, coniugando i corollari dell’attività giornalistica ed i confini imposti dalle diverse fonti normative (come, senza alcun ordine di rilevanza, Codice deontologico professionale, Codice della Privacy e Costituzione).