Il controllo operato mediante videosorveglianza: le implicazioni di natura penale
I sistemi di rilevazione delle immagini in ambito domestico, condominiale, aziendale, pubblico, e i rapporti con il diritto alla riservatezza
Ad oggi, la videosorveglianza rappresenta un tema noto e caro a molti, proprio per le finalità di tutela del patrimonio e della sicurezza personale (basti pensare, ad esempio, come si approfondirà in seguito, agli impianti installati all’interno delle abitazioni domestiche, negli spazi comuni condominiali ovvero sul posto di lavoro), essendo divenuta, in pochissimi anni, anche per colpa degli innumerevoli fatti di cronaca di furti, rapine od occupazione abusiva, un business in costante crescita.
Esistono plurime tipologie di videosorveglianza ovvero, più precisamente, contesti diversi ove è possibile procedere all’installazione di sistemi audiovisivi, tutti con il medesimo comun denominatore, consistente nel rispetto del diritto alla privacy dei soggetti “colpiti” direttamente o indirettamente dall’operatività degli stessi dispositivi.
1. La videosorveglianza domestica
Tra le diverse classificazioni di videosorveglianza, può essere menzionata, in primo luogo, la videosorveglianza domestica ove le stesse persone fisiche procedono all’installazione di sistemi di controllo all’interno di contesti di natura personale o domestica, al fine di tutelare le persone che convivono in una determinata abitazione o i beni presenti nella stessa, senza la necessità di ricorrere ad alcuna autorizzazione o formalità procedimentale, a condizione, tuttavia, del rispetto di determinati requisiti come, a titolo esemplificativo, la ripresa solo delle aree di propria esclusiva pertinenza (ad esempio, la porta e/o le finestre del proprio appartamento).
Pur trattandosi di una videosorveglianza privata, il rischio maggiore sarebbe quello di procedere ad un’installazione scorretta ovvero all’installazione di dispositivi non adatti alla tutela delle esigenze di riservatezza altrui (basti pensare, ad esempio, alle telecamere grandangolari che, non consentendo una regolazione dell’angolo di ripresa, non permettono l’oscuramento selettivo delle immagini concernenti le parti condominiali – sul punto, vd. sent. Trib. Palermo, 16 marzo 2021, n. 912 e Trib. Firenze, 28 novembre 2022, n. 3334).
Non soggiacendo ai dettami del GDPR del 2016, al fine di evitare la commissione del reato di interferenze illecite nella vita privata, previsto e punito dall’art. 615-bis c.p., il privato potrà decidere autonomamente e, pertanto, senza alcun obbligo, di installare segnaletica volta a comunicare la presenza di un impianto di videosorveglianza.
Di conseguenza, è sempre fortemente raccomandabile il ricorso ad aziende professioniste del settore che possano non solo consigliare i dispositivi più adeguati alle finalità da perseguire ma anche procedere alla corretta installazione degli stessi, per non incorrere in successive spiacevoli liti condominiali in ambito giudiziario, con potenziale (bisognerà verificare il superamento di una determinata soglia di rilevanza nonché l’effettiva e concreta lesione della sfera esistenziale della vittima) obbligo di rifondere i danni cagionati.
2. La videosorveglianza condominiale
Successivamente, può citarsi la videosorveglianza condominiale, da installare solo previo rilascio del consenso della maggioranza degli stessi condomini in sede assembleare ed obbligo di installazione della relativa segnaletica, che dovrà interessare esclusivamente le aree comuni da sottoporre a controllo, con una tutela dei dati raccolti ed accesso agli stessi solo da parte dei soggetti espressamente autorizzati ovvero il titolare, il responsabile o l’incaricato del trattamento nonché con un obbligo di conservazione dei dati per un termine massimo di 7 giorni.
Sul punto, la Suprema Corte (ex multis, Cass., n. 38230/2018 e n. 30191/2021) ha specificato come la registrazione possa riguardare non solo, ad esempio, il cortile, l’androne ma anche la zona dei parcheggi, le scale ed i pianerottoli delle stesse, dal momento che “non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti, perché sono, in realtà, destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti e di conseguenza la tutela penalistica di cui all’art. 615-bis c.p. non estende alle immagini eventualmente ivi riprese”.
3. La videosorveglianza in azienda
Un’altra tipologia di videosorveglianza è quella riguardante l’ambito lavorativo. La prima norma che deve essere presa in considerazione è l’art. 4, comma 1, della Legge n. 300/1970, c.d. “Statuto dei Lavoratori”, che, se antecedentemente alla riforma del “Jobs Act” del 2015, vietava, sic et simpliciter, l’utilizzo di impianti audiovisivi per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, giacché lesivo della dignità e della riservatezza degli stessi, ad oggi la novellata disposizione regolamenta l’impiego degli impianti audiovisivi e degli altri strumenti da cui derivi, altresì, la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, disponendo l’utilizzo dei medesimi esclusivamente per finalità di carattere organizzativo e produttivo, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, sempre previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria ovvero dalle rappresentanze sindacali aziendali (oppure, in caso di imprese con più unità produttive site in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni con accordo delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale).
In alternativa, l’installazione degli impianti audiovisivi dovrà essere autorizzata dalla Direzione territoriale del lavoro.
Oltre a ciò, sarà sempre necessario informare per iscritto i lavoratori prima dell’avvenuta installazione degli impianti di videosorveglianza ed apporre in azienda la specifica segnaletica volta a palesare la sussistenza dei sistemi audiovisivi.
Sul punto, si deve richiamare una discussa, soprattutto in ambito sindacale, pronuncia degli Ermellini (Cass., n. 3255/2021), ove in primo grado, un datore di lavoro era stato condannato per l’avvenuta violazione degli artt. 4, primo e secondo comma, e 38 della Legge n. 300/1970, con l’irrogazione di una pena di 200,00 euro a titolo di ammenda.
Ad avviso del Tribunale, l’imputato aveva installato impianti video in azienda, senza previamente aver richiesto l’accordo delle rappresentanze sindacali tantomeno l’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro; al contrario, la difesa dell’imputato deduceva l’avvenuta installazione degli impianti video, solo verso le casse e gli scaffali per la riscontrata assenza di merci, per la tutela del patrimonio aziendale e non già per il controllo dei lavoratori.
Invero, la Suprema Corte concludeva affermando come “quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate, o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre, però, che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, o debba restare necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi”.
Tale pronuncia, se, da un lato, ha rappresentato, senza dubbio, una decisione molto discussa, soprattutto, come sopra anticipato, sul piano sindacale, dall’altro ha coniugato le esigenze di salvaguardia della dignità e della riservatezza del lavoro con la tutela dell’attività imprenditoriale, di cui all’art. 41 Cost.
4. Videosorveglianza pubblica
Riguardo la videosorveglianza pubblica, bisogna preliminarmente osservare come la Legge n. 120/2020, c.d. “Decreto Semplificazioni”, abbia previsto all’art. 38, terzo comma, come “[l]’installazione e l’esercizio di sistemi di videosorveglianza di cui all’articolo 5, comma 2, lettera a), del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, da parte degli enti locali, è considerata attività libera e non soggetta ad autorizzazione generale di cui agli articoli 99 e 104 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 25”.
In tal maniera, si è registrata, in un’ottica di digitalizzazione, una modifica volta alla semplificazione della disciplina degli impianti di videosorveglianza installati dagli Enti locali, con una parificazione della normativa d’installazione a quella prevista per le amministrazioni statali.
Inoltre, nell’ambito pubblico, l’installazione dei sistemi di videosorveglianza dovrà esserci solo in via residuale ovvero laddove non sia possibile ricorrere a misure alternative e meno invadenti, con l’obbligo, ad ogni modo, di rispettare i criteri di liceità, necessità, proporzionalità e trasparenza.
5. Conclusioni
Dalle considerazioni sopraesposte è possibile concludere come, ad oggi, l’interesse verso la tematica della videosorveglianza sia proliferato, al pari delle esigenze di tutela della propria persona, del proprio patrimonio, della sicurezza del lavoro e dell’organizzazione dello stesso.
Con l’evoluzione tecnologica e la crescita dei plurimi dispositivi elettronici installati dalla diversa platea di soggetti interessati (privati, datori di lavoro e Pubbliche Amministrazioni), il diritto alla riservatezza risulta sempre più minacciato.
Fondamentali, in tal senso, saranno le tradizionali disposizioni guida in materia di privacy e le ulteriori indicazioni aggiunte dal GDPR del 2016.
Tuttavia, la difficoltà maggiore consisterà nel mantenere un apprezzabile equilibrio e contemperamento giuridico tra le esigenze di una parte rispetto a quelle palesate da un’altra, evitando di ricorrere, soprattutto in ambito lavorativo, all’installazione di dispositivi audiovisivi solamente per evitare sprechi di tempo e di denaro, non optando per strumenti alternativi meno invasivi, più costosi e necessitanti di una formazione maggiore nel loro utilizzo.
In questo senso, sarà fondamentale, nel silenzio del legislatore, il contributo giurisprudenziale di legittimità nella regolamentazione normativa di una materia in costante evoluzione sociale e tecnologica.