Il reato di frode nell’esercizio del commercio
Profili penali di tutela del “Made in Italy” nel settore dell’industria alimentare
L’industria alimentare, soprattutto se pensiamo a quella italiana e al c.d. “Made in Italy” noto a livello globale, assume una rilevanza essenziale sul piano economico e, di conseguenza, anche giuridico.
Giova precisare, fin da subito, come con la dicitura “industria alimentare” non si faccia esclusivamente riferimento alla “grande industria” ovvero ai blasonati nomi dei brand più famosi sul panorama nazionale, dal momento che, come si avrà modo successivamente di analizzare, il reato in questione può essere commesso da chiunque si trovi ad agire nell’esercizio di un’attività commerciale, non essendo, peraltro, richiesta la qualità di commerciante (sul punto, può citarsi una, seppur risalente, decisione di legittimità – Cass., n. 12499/1988 – con cui la Suprema Corte ha dichiarato la responsabilità penale del collaboratore della titolare di un negozio di alimentari). Basti pensare, ad esempio, al caso del ristoratore che non indica correttamente sul proprio menù i prodotti oggetto di congelamento, a prescindere da una effettiva attività di contrattazione con il singolo avventore. In tal caso, gli Ermellini hanno statuito come si tratti di tentata frode in commercio (Cass., n. 10375/2019) ma, soprattutto, con sentenza dell’anno precedente (Cass., n. 38793/2018), hanno dichiarato come l’indicazione presente sul menù di rivolgersi al personale di sala per ricevere maggiori indicazioni sui prodotti oggetto di congelamento menzionati sul menù non possa essere sufficiente ad assicurare una corretta e precisa informazione sulle qualità della merce venduta, dal momento che l’iniziativa volta a ricevere maggiori informazioni in merito non deve provenire dal cliente).
Gli aspetti principali del reato di frode nell’esercizio del commercio
L’art. 515 c.p., avente ad oggetto il reato di frode nell’esercizio del commercio, punisce, al primo comma, (salvo che il fatto non integri un reato più grave) chiunque, nell’ambito dell’esercizio di un’attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico consegni all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, prevedendo, al comma successivo, un inasprimento della pena laddove si tratti di oggetti preziosi.
Per quanto riguarda l’agente, anche se il legislatore ha indicato “chiunque”, bisogna comunque precisare, come già anticipato sopra, che si tratta di un reato proprio, dovendo, il soggetto attivo esercitare un’attività commerciale, industriale o, ad ogni modo, produttiva, anche solo di fatto, non essendo richiesta la qualifica di imprenditore e/o di commerciante.
Il profilo materiale consiste nella dazione fraudolenta al compratore, in virtù di un’obbligazione assunta nei confronti del predetto, di un altro prodotto rispetto a quello che si sarebbe dovuto consegnare all’acquirente ovvero un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità oppure quantità (sul punto, vd. Cass., n. 30685/2021, secondo cui è integrato il reato di frode in commercio in caso di consegna di un bene diverso da quello pattuito, anche se intercorsa nell’ambito di una trattativa individuale, non essendo necessaria una previa offerta al pubblico del bene e, pertanto, il potenziale inganno di una platea di consumatori e Cass., n. 17686/2019, ove è risultato integrato il reato di tentativo di frode nell’esercizio del commercio in occasione dell’apposizione, su merce destinata alla vendita, del marchio contraffatto CE che garantisce, non solamente la provenienza dall’Europa, ma soprattutto l’origine e provenienza certificata di un determinato prodotto).
L’elemento psicologico è da rinvenire, invece, nel dolo generico e, segnatamente, nella coscienza e volontà di consegnare all’acquirente un bene mobile diverso da quello che si sarebbe dovuto dare e che il compratore avrebbe dovuto ricevere, a seguito di dichiarazione del venditore o di pattuizione con il medesimo.
Pertanto, il bene tutelato da tale disposizione è da ricercare non solo nell’integrità del singolo rapporto patrimoniale tra compratore e venditore ma, in un’ottica più ampia, nella correttezza degli scambi commerciali, nell’affidamento dell’acquirente a quanto proposto sul mercato ovvero nella correttezza dell’esercizio commerciale, al fine di tutelare l’economia pubblica.
Sul punto, giova precisare come occhi meno esperti in campo giuridico siano soliti confondere il reato in questione con quello di truffa. Inutile sottolineare come, per tale fattispecie illecita, sia necessaria una qualsivoglia forma di inganno, tramite particolari “trucchetti”, dell’acquirente; circostanza, questa, che non risulta necessaria, invece, nell’ambito della frode in commercio.
Le differenze con la seconda tipologia di frode alimentare: la frode sanitaria
Spesso, si sente parlare indifferentemente di frode alimentare, sanitaria e commerciale come se tali termini fossero sinonimi.
In realtà, nell’ambito della frode alimentare sono state tipizzate due tipologie di frodi: la prima, quella già analizzata della frode nell’esercizio del commercio e la seconda, di cui si offriranno brevi cenni espositivi di seguito, quella della frode sanitaria.
Se, come abbiamo precedentemente analizzato, la frode commerciale richiede la vendita di un prodotto diverso da quello pattuito, nell’ambito della frode sanitaria si avrà un surplus ovvero una previa attività volta ad incidere sul prodotto medesimo.
L’art. 442 c.p., avente ad oggetto il commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate, punisce, invero, chiunque, senza concorso nei reati di cui ai tre articoli precedenti (art. 441 c.p. – adulterazione o contraffazione di altre cose in danno della salute pubblica, art. 440 c.p. – adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari ed art. 439 c.p. – avvelenamento di acque o di sostanze alimentari), detenga ai fini del commercio, ponga in commercio ovvero distribuisca per il consumo acque, sostanze o cose avvelenate, corrotte, adulterate o contraffatte da soggetti terzi, arrecando un pericolo alla salute pubblica.
In altre parole, se, generalmente, nella fattispecie di frode commerciale l’acquirente pagherà un prezzo superiore rispetto a quanto venduto, nell’ambito della frode sanitaria, invece, antecedentemente alla messa in commercio di un determinato prodotto, si è verificata un’attività volta ad alterarlo, con effetti pericolosi sulla salute pubblica e con il fine ultimo, da parte del soggetto agente, di risvolti economici positivi.
In particolar modo, con l’adulterazione si avrà una variazione della composizione di un alimento, solitamente con elementi di qualità inferiore rispetto a quella dichiarata, con la falsificazione si adotterà la denominazione di un’altra tipologia di alimento, con la sofisticazione si verificherà la sostituzione parziale di alcuni elementi dell’alimento mentre, da ultimo, con la contraffazione, considerata al pari della frode, si avrà una messa in commercio di prodotti dotati di nomi o marchi tesi ad indurre in inganno il consumatore (basti pensare, al c.d. “Made in Italy”).
In materia, può, altresì, ricordarsi l’art. 444 c.p., avente ad oggetto il commercio di sostanze alimentari nocive, che punisce chiunque detenga per il commercio, ponga in commercio ovvero distribuisca per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, non oggetto di contraffazione tantomeno di adulterazione, ma pericolose alla salute pubblica.
In tal caso, non si sarà avuta una modificazione del prodotto, ma, ad esempio, una cattiva conservazione del medesimo.
Conclusioni
Dalla precedente esposizione è stato possibile comprendere come il settore del food e del beverage, soprattutto quello italiano, possa rappresentare un target altamente ricercato per chi vuole arricchirsi ai danni, rispettivamente, dell’economia e della salute pubblica.
Ciò che sicuramente desta subito maggiormente perplessità rispetto ad un’effettiva e concreta tutela agli interessi sopracitati è la formulazione della normativa sopracitata.
Posto che, ad oggi, tra la regolamentazione europea e quella internazionale (basti pensare, ad esempio, agli IFS – International Food Standard) che si è succeduta negli ultimi anni, il campo in questione si è arricchito di nuove nozioni, competenze e conoscenze, le disposizioni civilistiche sembrano essere rimaste un passo indietro, ancorate a concetti generici e non già calati nel caso concreto (a titolo esemplificativo, il riferimento al pericolo alla salute pubblica di cui agli artt. 442 e 444 c.p., privo di alcuna indicazione numerica rispetto ad una qualche soglia di tollerabilità ovvero alla soglia limite oltre il quale scatterebbe il pericolo), creandosi, così, un disallineamento con quanto imposto sul piano sovranazionale, maggiormente specifica e dettagliata.
Proprio in virtù dell’esplosione del settore alimentare italiano a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, risulta indispensabile una riforma legislativa ad hoc che sia in grado di adeguarsi maggiormente agli standard europei e, soprattutto, internazionali, creando una disciplina normativa maggiormente specifica e concreta, volta a garantire una repressione più forte e una punibilità più sicura di tali fattispecie illecite.