Di carcere si muore –
Ruolo della polizia penitenziaria e situazione delle carceri in Italia
Un recente convegno organizzato dal CAO-Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma in collaborazione con la locale Camera Penale sul ruolo della polizia penitenziaria nel sistema giustizia è stato occasione per un punto sulla situazione delle carceri in Italia. I dati del primo semestre 2021 “generano grande preoccupazione”, secondo l’avv. Antonino Galletti, presidente del CAO della capitale: per l’USSP-Unione sindacale della polizia penitenziaria, si tratta di “5.290 atti di autolesionismo, 44 suicidi consumati e 738 sventati, 3.823 colluttazioni, 503 ferimenti”, ai quali si aggiungono i decessi per cause naturali.
Anche la Camera Penale di Benevento, in un comunicato a firma della presidente avv. Simona Barbone, richiamandosi ai due suicidi avvenuti nei mesi di agosto e settembre 2021 nel carcere del capoluogo sannita, stigmatizza la gravità delle condizioni in cui sono costretti i detenuti, specie in mancanza di assistenza sanitaria e psichiatrica adeguata. Interpelliamo in proposito Stefano Anastasia, Garante per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà del Lazio, presidente onorario dell’Associazione Antigone, docente di filosofia e sociologia del diritto e coordinatore della Clinica legale penitenziaria del Dipartimento di Giurisprudenza all’Università di Perugia, che ringraziamo per essersi reso disponibile a rispondere ad alcune domande.
Sono anni che la situazione carceraria italiana è oggetto di attenzione per le sue profonde criticità, ma i numeri emersi da questo convegno sono assai preoccupanti. Li vuole commentare?
Purtroppo sono dati costanti nel tempo, che indicano un malessere non episodico, ma connaturato all’istituzione penitenziaria o almeno a quella italiana. Pesano il sovraffollamento, la fatiscenza delle strutture, la carenza delle risorse umane, finanziarie e strumentali, ma anche, più in generale, la innaturalità dell’ambiente detentivo, che rende vita e lavoro particolarmente stressanti.
Dentro le carceri convivono due comunità, quella dei detenuti e quella degli agenti di polizia penitenziaria: come salvaguardare i diritti di entrambe?
Innanzitutto riducendo la popolazione detenuta a quella che non può pagare altrimenti il suo debito con la società che con la reclusione: autori di gravi reati contro la persona o strettamente legali all’azione delle organizzazioni criminali. Riducendo sensibilmente la popolazione detenuta a quelle venti-venticinquemila persone che non hanno alternative credibili nel breve periodo, non solo gli spazi e il personale sarebbero finalmente adeguati, ma si potrebbe effettivamente mettere in atto quelle azioni trattamentali per il reinserimento sociale che nei confronti delle migliaia di detenuti con fine pena brevi o brevissimi sono letteralmente impossibili. In questo modo, migliorando le condizioni di trattamento dei detenuti, migliorerebbero anche le condizioni di lavoro della polizia penitenziaria.
Non si è ancora spenta l’eco dei fatti accaduti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e delle vessazioni inflitte dagli agenti ai detenuti nel corso di una rivolta scoppiata a inizio pandemia: come giudica quell’episodio?
Quello che abbiamo visto dalle registrazioni delle telecamere di sorveglianza è impressionante e non ha giustificazione alcuna. Il peggio è in una certa metodicità nelle vessazioni, indice evidentemente di una pratica più diffusa di quanto non si sappia, e la convinzione dell’impunità che sembra emergere da quelle azioni svolte sotto il controllo delle telecamere. Per fortuna la reazione della Ministra Cartabia è stata all’altezza della gravità dei fatti e spero che la Commissione ministeriale affidata al Presidente Lari possa fare piena luce sull’accaduto e dare importanti indicazioni nel senso della prevenzione e di un’adeguata formazione del personale.
Quali sono, secondo lei, i provvedimenti più urgenti per fronteggiare una situazione così drammatica?
Come ho detto, innanzitutto occorre ridurre drasticamente la popolazione detenuta, escludendo la pena della reclusione e la custodia cautelare in carcere per i reati minori e non violenti, a partire da quelli legati alla circolazione delle sostanze stupefacenti. E così rafforzare il sistema delle alternative, non solo in termini di mezzi e strutture adeguati per gli uffici di esecuzione penale esterna, ma anche attraverso il sostegno alle Regioni e ai Comuni per la costruzione di reti di accoglienza della marginalità sociale che finisce in carcere in mancanza di alternative. Fatto questo, si potranno potenziare i servizi educativi e trattamentali interni al carcere, dalla scuola alla formazione professionale, all’avviamento al lavoro, condizioni irrinunciabili per dare attuazione alla finalità rieducativa della pena prevista in Costituzione.
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