83 da inizio anno, 7 solo nei primi dieci giorni di settembre.
Questi i drammatici dati sulla situazione femminicidio in Italia, quasi tutti in ambito familiare, diffusi dall’ultimo report del Viminale: dei 199 delitti commessi da gennaio, 83 sono donne e oltre la metà sono state uccise dal partner o da un ex.
Giuseppina Di Luca, 47 anni, uccisa a coltellate dal marito che non accettava la separazione;
Alessandra Zorzin, mamma 21enne assassinata a Montecchio Maggiore dall’“amico” geloso;
Rita Amenze, 30 anni, uccisa dal marito a Noventa Vicentina. E ancora, l’ultimo possibile caso?
Di pochi giorni fa: Dora Lagreca, 30 anni, che sarebbe precipitata dal quarto piano di uno stabile a Potenza, completamente nuda. Qui cautela è d’obbligo: le indagini sono appena iniziate. Il fidanzato, però, è stato iscritto nel registro degli indagati per istigazione al suicidio, benché per ora come «atto dovuto». Ci sarebbe però stata una forte discussione tra i due per gelosia. Lui si è difeso: non sarebbe riuscito a fermarla, quando lei minacciava di buttarsi dal balcone. La famiglia rifiuta però l’ipotesi suicidio e le amiche accusano: «Era lui quello geloso».
Tutti questi non sono solo nomi – e potremmo continuare all’infinito – ma vite spezzate, in nome di un “presunto amore”. Allora c’è da chiedersi: a che punto sono la legislazione e gli interventi concreti per spezzare questa emergenza sociale?
Il Codice Rosso
Un’importante novità è stata introdotta dalla legge 19 luglio 2019, n. 69, nota come Codice Rosso, a tutela delle donne e dei soggetti deboli che subiscono violenze. In principio, sembrava una rivoluzione solo positiva: procedure più veloci, nuovi reati e maggiori sanzioni. Per molti un cambiamento storico, specie per l’introduzione del reato di revenge porn e la violazione degli ordini di protezione, ora reato procedibile d’ufficio.
Presto, però, sono esplose opinioni contrastanti. Non pochi ritengono che si tratti solo di propagandistica e molti criticano proprio il breve lasso di tempo di tre giorni, dall’iscrizione della notizia di reato, concesso al PM per assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. Ciò creerebbe difficoltà oggettive per le Procure, non essendovi risorse sufficienti per agire così in fretta, né per loro né per le forze dell’ordine.
Il problema
Qual è la vera difficoltà che si cela tuttora nel trattare i casi di violenza domestica e di genere? Che ci si muove tramite interventi repressivi, non contrastandoli efficacemente, però, sul piano strutturale. Per le donne vittime di violenza, infatti, occorre avviare un diverso tipo di iniziative, di natura preventiva, che garantiscano loro dignità, autonomia, sussidi statali adeguati. La donna va posta in condizione di conoscere un’alternativa, un’opportunità diversa dalla situazione di paura e disagio in cui vive: va aiutata ad uscire dalla propria solitudine.
Perciò molte donne non denunciano: si sentono colpevoli per qualcosa di cui colpa non hanno. Il carnefice ha gioco facile nell’attuare sulla vittima una coercizione psicologica che la fa sentire “sbagliata” e le induce insicurezza, ansia, paura. Una destabilizzazione emotiva che la rende incapace di relazionarsi col mondo.
Inoltre, in una coppia, molte donne – magari con figli – rappresentano economicamente la parte più debole: credono di non avere alternative alla situazione in cui vivono o, meglio, sopravvivono. Così si rassegnano, consegnandosi a un destino che, troppo spesso, ha il peggiore dei finali.
Il dramma è che spesso si dice che tutto ciò avviene «per amore». Non sono solo i giornali a scriverlo: lo pensano loro stesse, persuase che quello sia amore. L’amore, però, non è mai violento.
I comportamenti violenti fisici, psicologici e sessuali vanno sempre denunciati: il silenzio comporta l’autodistruzione e l’accrescimento di onnipotenza del carnefice. Perciò occorre dare alle donne il coraggio di farlo: tramite iniziative che non consistano solo in un inasprimento delle pene, ma che, con piena presa di coscienza dell’emergenza sociale dinanzi cui ci troviamo, attuino preventivamente nuove forme di educazione anzitutto a partire dalle scuole. Anche i centri antiviolenza ricoprono un ruolo fondamentale, ma vanno supportati con interventi statali più incisivi.
Ben venga, dunque, il passo avanti del Codice Rosso. Ora occorre però mettere tutte le donne in condizione di sentirsi libere di denunciare: l’unico modo per uscire da un tunnel buio, recuperando nuova vita, speranza e, finalmente, un sorriso.
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