Annullamento del contratto per dolo: i chiarimenti della Cassazione
Non basta una qualunque influenza psicologica, ma occorrono artifici o raggiri o anche semplici menzogne, senza i quali l’altro contraente non avrebbe prestato il consenso
Con l’ordinanza in epigrafe i giudici di legittimità tornano ad occuparsi di un antico tema, quello relativo alla condotta dolosa. Il tema è antico perché risale al pensiero di Labeone (I sec. d.C.), a noi conosciuto attraverso una citazione del giurista Ulpiano (III sec. d.C.), la definizione di dolo come “omnem calliditatem fallaciam machinationem ad circumveniendum fallendum decipiendum alterum adhibitam”. Dunque, qualunque forma di macchinazione, finalizzata a circuire, far cadere in errore o ingannare un terzo può essere considerata dolo.
La definizione è assai ampia, e come tale è stata sempre considerata dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che pure hanno avuto svariate occasioni per stabilire i confini e proporre delimitazioni importanti alle fattispecie coinvolte.
L’ordinanza n. 25968/2021 (testo in calce) contiene una pronuncia di inammissibilità del ricorso, e diviene espressione di quell’indirizzo interpretativo, accolto di recente (modificando un precedente orientamento) dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 7155 del 21 marzo 2017, secondo il quale l’operatività del filtro ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c. determina la sanzione della inammissibilità e non il rigetto per manifesta infondatezza. E nel caso di specie, difatti, la decisione della Corte distrettuale era stata aderente alle precedenti decisioni di legittimità.
La vicenda sottoposta alla Corte di Cassazione diviene l’occasione per riflettere sulla nozione di dolo e per tentare di offrire confini più nitidi alle fattispecie che in tale nozione rientrano.
1. La vicenda oggetto della decisione
Viene adita la Corte di legittimità per l’impugnazione di una sentenza della Corte d’Appello di Bologna, del 2 gennaio 2021.
I fatti di causa possono venire così sintetizzati. L.D. aveva convenuto in giudizio, dinanzi il Tribunale di Modena, GioG. e Giu.G., nonché la ditta Costruzioni G. Srl e la V. Srl, oltre a G.S. e K.G. L’adizione del giudice di prime cure era avvenuta per sentire dichiarata la nullità e/o l’annullabilità di una procura speciale rilasciata dall’attore L.D. in favore di Gio.G. in data 11 dicembre 2000, con regolare atto formalizzato dinanzi al notaio, e avente come oggetto la vendita di un appartamento. Alla richiesta di nullità e/o annullabilità della procura speciale, era collegata la richiesta di nullità e/o l’annullabilità dell’atto di compravendita. D’altra parte, uno degli elementi significativi della vicenda era che Gio.G., procuratore speciale, era anche legale rappresentante della società Costruzioni G. Srl.
Con un contratto preliminare, stipulato in data 24 novembre 2000, la Costruzioni G. s.r.I. si era obbligata a vendere a L.D. un immobile sito in Modena, ricevendo in permuta, come parte del prezzo, proprio l’immobile per il quale L.D. aveva rilasciato la procura a vendere in data a Gio.G. in data 11 dicembre 2000. Nello specifico, l’oggetto del contratto preliminare di permuta era un appartamento in fase di ristrutturazione, del quale era proprietaria la società V. s.r.I.
Solo in seguito alla formulazione di un parere contrario da parte della Commissione Edilizia, in merito all’immobile oggetto della ristrutturazione, L.D. sarebbe venuto a conoscenza di quello che ricostruisce come un disegno fraudolento messo in atto da tutte quante le parti convenute in giudizio. Nei fatti esposti, e in particolare nel silenzio del procuratore speciale, il ricorrente ravvisava gli estremi di una condotta fraudolenta, per la quale richiedeva la cesura.
La frode veniva specificamente ravvisata nella scelta dell’immobile oggetto della vendita e, ancora prima nella formulazione della procura speciale a vendere e quali complici della frode venivano indicati anche gli acquirenti dell’immobile medesimo, ossia G.S. e K.G. L’appello di L.D. era stato già rigettato dalla Corte d’appello di Bologna, con la sentenza del 2 gennaio 2020, che aveva confermato la sentenza di primo grado, dalla quale emergeva come mancasse la prova del raggiro. In seguito al rigetto della domanda di riforma, L.D. aveva nuovamente proposto impugnazione in cassazione, sulla base di due motivi.
Da rilevare è che anche il relatore ha formulato una proposta di inammissibilità del ricorso.
2. Il ragionamento della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione esclude che nella vicenda de qua sia configurabile una condotta di dolo. In particolare, i giudici di legittimità giustificano il proprio ragionamento richiamando due precedenti. Il primo, risalente al 2015, propriamente in materia di vizi del consenso. In particolare, con la sentenza del 23 giugno 2015, la Corte di Cassazione aveva sostenuto che in tema di vizi del consenso, il dolo, a norma dell’art. 1439 c.c., è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da una parte abbiano determinato la volontà a contrarre da parte del deceptus, avendo ingenerato in lui una rappresentazione alterata della realtà. Tale rappresentazione avrebbe determinato nel suo meccanismo volitivo un errore essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c. Più specificamente, la Corte aveva sostenuto che sarebbe ricostruibile una fattispecie di dolus malus solamente nel caso in cui, in relazione alle circostanze di fatto e personali del contraente, il mendacio sia accompagnato da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno voluto e idonee in concreto a sorprendere una persona di normale diligenza, sicché sussista, in chi se ne proclami vittima, assenza di negligenza o di incolpevole ignoranza
Ancora più di recente, la Corte di Cassazione civile, con la sentenza dell’8 maggio 2018, n. 11009, ha fornito delle precisazioni in materia di dolo omissivo. Ha sostenuto, infatti, la Corte, che il dolo omissivo rileva quale vizio della volontà, idoneo a determinare l’annullamento del contratto, solo quando l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito. Ne consegue, dunque, che il semplice silenzio e la reticenza, anche su situazioni di interesse della controparte, non modificando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l’altro contraente, non costituiscono causa invalidante del contratto.
In applicazione di tale principio la Suprema Corte, con riferimento ad un contratto di compravendita immobiliare, ha escluso che il silenzio serbato dal venditore, nella fase delle trattative, sulla possibilità di un imminente recesso della banca conduttrice dei locali oggetto del contratto potesse configurare una ipotesi di dolo omissivo, ritenendo dirimente la circostanza che nel contratto di locazione tra la venditrice e la banca, conosciuto dall’acquirente, era prevista la facoltà di recesso ad nutum del conduttore e che, perciò, quel reddito locativo non era, né poteva essere considerato, sicuro.
Quello focalizzato dalle due sentenze citate è un orientamento che vanta anche ulteriori precedenti, che vale la pena richiamare per comprendere come la Corte si sia mossa su un terreno assai indagato, eppure sempre bisognoso di nuove precisazioni, provenienti anche dalle corti di merito. Risale infatti al 20 gennaio 2020, la sentenza n. 259 del Tribunale di Salerno, secondo cui in tema di vizi del consenso, sarebbe vigente il principio secondo cui “fraus omnia corrumpit”, in virtù del quale il dolo decettivo conduce all’annullamento del contratto (come pure del negozio unilaterale) qualunque sia l’elemento sul quale il contraente sia stato ingannato e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto, ivi compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto del negozio. Le dichiarazioni menzognere (cosiddetto mendacio) sono idonee ad integrare raggiri – e, dunque, a configurare il dolo contrattuale – la cui rilevanza è tanto maggiore in relazione all’affidabilità intrinseca degli atti utilizzati e se siano rese da una parte con la deliberata finalità di offrire una rappresentazione alterata della veridicità dei presupposti di fatto rilevanti per la determinazione del prezzo di cessione delle quote sociali e di viziare nell’altra parte il processo formativo della volontà negoziale.
Sulla stessa linea si pone anche una sentenza n. 27406 del 25 ottobre 2019 della Cassazione, a tenore della quale si è sottolineato come, in tema di vizi del consenso, ad essere vigente sia il principio fraus omnia corrumpit, in virtù del quale il dolo decettivo conduce all’annullamento del contratto qualunque sia l’elemento sul quale il deceptus sia stato ingannato. e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto, ivi compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto del negozio.
Nel caso di specie il ricorrente, secondo la ricostruzione della Corte di legittimità, avrebbe celato sotto lo schermo della violazione di legge, quella che in realtà si configurava come una rivalutazione dei fatti di causa, finalizzata all’accertamento di un presunto raggiro subito.
La Corte di Cassazione riprende e conferma quanto aveva affermato la Corte di Appello: che dalle vicende narrate in nessun modo sarebbe emersa una fattispecie di raggiro. In particolare, non poteva e non può essere ritenuto raggiro la mera incomprensione degli effetti giuridici di un atto, ossia, nel caso specifico, l’atto notarile con la quale il ricorrente aveva rilasciato la procura a vendere. La mancanza di dolo sarebbe da escludersi in toto dal momento che il notaio rogante aveva correttamente compiuto una puntuale descrizione del contenuto dell’atto e della sua efficacia. Peraltro, in nessun modo potevano essere ricondotti ad un’ipotesi fraudolenta i contenuti degli accordi intercorsi con Gio.G., dal momento che essi, pur essendo stati dedotti, non erano stati dimostrati e attenevano a generiche raccomandazioni ricevute in merito alla vendita dell’immobile oggetto della permuta e sulla partecipazione dei terzi nel consilium fraudis.
La Corte di Cassazione fonda tutto il suo ragionamento sull’interpretazione di un’unica disposizione di legge, l’art. 1439 c.c., in forza del quale si può sostenere che il dolo sia causa di
annullamento del contratto laddove i raggiri usati siano stati tali che, in assenza di essi, l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto. Ugualmente, è configurabile dolo nel caso in cui i raggiri abbia inficiato la determinazione della volontà del contraente, ossia abbiano ingenerato nel soggetto deceptus una rappresentazione alterata della realtà. Il meccanismo del volere che verrebbe così ingenerato sarebbe tale da determinare un errore essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c. Solo in siffatta evenienza sarebbe integrata la fattispecie fraudolenta, idonea a determinare l’annullabilità del contratto.
3. Conclusioni
La Corte di Cassazione giunge a una soluzione che, muovendosi nella tumultuosa area della condotta dolosa, mira a fornire alcuni punti fermi, secondo un orientamento costante della giurisprudenza di legittimità che appare propenso a fornire una lettura restrittiva delle fattispecie coinvolte. In particolare, si enucleano le condizioni in presenza delle quali sia possibile ricorrere all’annullamento del contratto: si sottolinea come non sia sufficiente una qualunque influenza psicologica dell’uno sull’altro contraente, ma come sia necessaria la messa in opera di veri e propri artifici o raggiri, che possono anche concretizzarsi in semplici menzogne, ma che devono comunque tradursi in fatti dotati di un chiaro nesso di causalità sulla formazione del volere dell’altra parte, ossia sulla formazione del consenso di quest’ultima.
Il nesso eziologico non può, in linea di massima, considerarsi integrato da una mera omissione, o da una incomprensione, o dalla presunzione di una errata percezione delle vicende dedotte contrattualmente. L’insegnamento ribadito dalla Corte di Cassazione è nel senso di ammettere come dolosa la condotta caratterizzata da un facere attraverso il quale si persegue intenzionalmente e fattivamente una perturbazione nella formazione del volere.
L’articolo curato dall’Avvocato Antonio Di Santo è consultabile anche su Altalex, rivista giuridica
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