Commemorazione o apologia di fascismo:lo sconvolgente caso giudiziale
Il giudizio della Cassazione sul confine tra commemorazione e apologia di fascismo: il discusso caso del generale fascista
Cassazione penale, Sez. I, 25 marzo 2021 (ud. 25 settembre 2020), n. 11576 – Pres. Casa – Rel. Mancuso – P.M. Perelli (diff.) – Ric. V.E., F.G. e P.L. Annulla con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Roma del 14 marzo 2019.
1. Introduzione
2. I giudizi di primo e secondo grado
3. Il ricorso alla Suprema Corte: le argomentazioni difensive
4. Il discutibile giudizio di legittimità della Suprema Corte
5. Conclusioni
Giunti quasi al 2022, il tema della libertà di espressione, soprattutto in ambito penale, costituisce, ancora, il campo di forti scontri.
È chiaro come il ruolo del legislatore sia quello di muoversi tra fattispecie penale e protezione della democrazia, cercando di colpire i tradizionali fascismi ed i loro sviluppi ma, al contempo, di non creare un eccessivo irrigidimento del corpo delle minacce.
Verrà, quindi, approfondito un recente caso giudiziario, giunto fino alla Corte di Cassazione, che ha fatto molto discutere ed anche riflettere su quanto ancora il nostro ordinamento giuridico debba “istruirsi” in materia.
Con sentenza del 7 novembre 2017, il Tribunale di Tivoli dichiarava, in primo grado, gli imputati ( sindaco ed assessori di un Comune del Lazio) colpevoli del reato di cui all’art. 4 della Legge n. 205/1993, che punisce “chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”, in quanto, nel 2008, avevano approvato e, successivamente, presentato alla Regione Lazio un progetto che prevedeva l’edificazione di un museo intitolato al soldato R.G. all’interno di un parco dedicato alle manifestazioni di carattere pubblico; progetto, poi, finanziato per un cospicuo importo economico.
Con la delibera del 21 luglio 2012, si arrivava all’intitolazione formale del monumento, ricorrendo il successivo 11 agosto 2012 sia l’anniversario della nascita del noto soldato sia l’inaugurazione della struttura.
Il 14 marzo 2019, la Corte d’Appello di Roma confermava la condanna a carico degli imputati, riscontrando la sussistenza di due episodi illeciti congiunti dal vincolo della continuazione ovvero la delibera d’intitolazione del sacrario e l’organizzazione della cerimonia.
Ad avviso della Corte, ciò che maggiormente rilevava, ai fini della condanna, era stato il ruolo del soldato e poi generale nella diffusione dell’ideologia fascista nonché il fatto tipico, oltre al dolo generico riscontrato in capo agli imputati.
Con la sentenza n. 11576 del 25 marzo 2021, pronunciata in sede di legittimità a seguito del ricorso dei condannati, la Suprema Corte, annullava la sentenza impugnata con rinvio.
Nelle considerazioni di diritto, gli Ermellini si limitavano a richiamare risalente giurisprudenza costituzionale e di legittimità, circa il legame tra apologia di fascismo e concreto pericolo, da accertare tramite i requisiti dettati dall’art. 56 c.p., di ricostituzione del partito fascista.
Ad avviso della Cassazione, la pronuncia d’appello avrebbe fatto coincidere il carattere esaltativo delle condotte contestate (l’approvazione della delibera e la successiva cerimonia inaugurale del parco e del museo) con la polarizzazione sul generale R.G., senza specificare alcunché in merito al motivo e sulla scorta di quali elementi tale polarizzazione avrebbe integrato un’esaltazione nonché senza approfondire il pericolo, sul piano concreto, di ricostituzione del partito fascista; pericolo ricavato solo dalla veste pubblica dei soggetti imputati e dalla collocazione topografica del museo.
La sopra esposta vicenda giudiziaria ha suscitato molto clamore, non solo sul piano sostanziale, ma soprattutto sul piano formale, in quanto la Suprema Corte sembra aver oltrepassato il confine della legittimità per sconfinare nel merito della questione.
Proprio il profilo relativo al pericolo concreto di ricostituzione del partito fascista, come richiamato dagli Ermellini, appare un (forse) astuto congegno logico-giuridico, volto alla non configurazione del reato di apologia di fascismo, aprendo, così, la strada a pericolose “redenzioni” di dubbie soggettività storiche.
1. Introduzione
Giunti ormai, quasi, al 2022, il tema della libertà di espressione, soprattutto in ambito penale, costituisce, ancora, il campo di forti scontri, fortemente, contraddistinto da opposte tendenze.
È chiaro, più che mai, come il ruolo del legislatore sia quello di muoversi tra fattispecie penale e protezione della democrazia, cercando di colpire i tradizionali fascismi ed i loro sviluppi ma, al contempo, di non creare un eccessivo irrigidimento del corpo delle minacce.
Basti pensare, ad esempio, alla legge Fiano del 2017 con cui si è registrato, in Italia, l’ultimo tentativo di includere nel Codice penale il reato di propaganda del regime nazista e fascista; legge che venne approvata alla Camera e mai più discussa al Senato.
In via generale, si può obiettare come una proposta di legge, che punisce condotte connesse ad un’ideologia, possa essere ritenuta limitante del diritto di espressione, con una violazione dell’art. 21 della Carta costituzionale, preferendo, quindi, optare per un sistema di “democrazia aperta”.
A tal proposito, nei successivi paragrafi verrà approfondito un recente caso giudiziario, giunto fino alla Corte di Cassazione, che ha fatto molto discutere ed anche riflettere su quanto ancora il nostro ordinamento giuridico debba “istruirsi” in materia.
2. I giudizi di primo e secondo grado
Con sentenza del 7 novembre 2017, il Tribunale di Tivoli dichiarava, in primo grado, gli imputati (rispettivamente, sindaco ed assessori di un Comune del Lazio) colpevoli del reato di cui all’art. 4 della Legge n. 205/1993, che punisce “chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”, in quanto, nel 2008, avevano approvato e, successivamente, presentato alla Regione Lazio un progetto che prevedeva l’edificazione di un museo intitolato al soldato R.G. all’interno di un parco dedicato alle manifestazioni di carattere pubblico.
Solamente dopo svariate istanze di sollecito avanzate da parte degli imputati, la Giunta della Regione Lazio procedeva al finanziamento della realizzazione del parco, con l’importo di 180.866 euro.
Con la delibera, adottata dalla sopracitata Giunta comunale, in data 21 luglio 2012, si arrivava all’intitolazione formale del monumento, ricorrendo, il successivo 11 agosto, sia l’anniversario della nascita del noto soldato (i cui cimeli risalenti alla Prima Guerra Mondiale sono conservati nel sacrario) sia l’inaugurazione della struttura.
La cerimonia, a cui presenziavano le forze dell’ordine, si svolgeva, tuttavia, nella massima regolarità ovvero, sostanzialmente, con un raduno, una messa ed una cena.
Il 14 marzo 2019, la Corte d’Appello di Roma confermava la condanna a carico degli imputati, riscontrando la sussistenza di due episodi illeciti congiunti dal vincolo della continuazione ovvero la delibera d’intitolazione del sacrario e l’organizzazione della cerimonia.
Ad avviso della Corte, ciò che maggiormente rilevava, ai fini della condanna, era stato il ruolo del soldato e poi generale nella diffusione dell’ideologia fascista ed il fatto tipico, oltre al dolo generico riscontrato in capo agli imputati.
Proprio con riferimento al primo profilo, veniva ricordato come l’uomo fosse stato, dapprima, un soldato combattente nel primo conflitto mondiale e, poi, al termine della guerra, un esponente di rilevo del partito nazionale fascista. Successivamente, continuò a combattere contro i partigiani e gli anglo-americani, ricoprendo il ruolo, ad esempio, di ministro della guerra della Repubblica Sociale Italiana fino al 1945. I suoi metodi, animaleschi e selvaggi, divennero, peraltro, circostanza ben nota, durante le guerre coloniali italiane ed il secondo dopoguerra.
3. Il ricorso alla Suprema Corte: le argomentazioni difensive
Ad avviso della difesa dei condannati che ricorrevano dinanzi la Suprema Corte avverso la decisione assunta dalla Corte d’appello di Roma, i giudici di merito non avrebbero considerato l’orientamento costituzionale dettato dalla sentenza n. 74 del 1958 rispetto all’art. 5, Legge 20 giugno 1952, n. 645, proprio in relazione alla fattispecie illecita del caso de quo, secondo cui la denominazione di “manifestazioni fasciste” adottata dal succitato provvedimento legislativo e l’impiego dell’avverbio “pubblicamente” lasciano intendere che, nonostante il fatto possa essere realizzato da un’unica persona, questo debba trovare “nel momento e nell’ambiente in cui è compiuto circostanze tali, da renderlo idoneo a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste”.
Da ulteriore, per la difesa dei ricorrenti, non sarebbe stata adeguata la valutazione della condotta quale apologetica, in relazione all’inaugurazione, durante cui non vi sarebbero state quelle manifestazioni finalizzate all’incitamento della violenza ovvero alla discriminazione. In sostanza, la sussistenza dell’elemento dell’esaltazione sarebbe stata ricavata, non già da dati fattuali, bensì dalla figura storica del generale R.G.
Veniva, ancora, sollevato un vizio motivazionale circa l’accertamento del dolo generico, dal momento che il giudice d’appello non avrebbe operato alcuna distinzione rispetto all’elemento psicologico e ai motivi, ricavando la coscienza e la volontà degli imputati nella scelta dell’anniversario della nascita del generale R.G. per l’inaugurazione del monumento nonché nel tacere, per lungo tempo, nel frattempo di ottenere l’approvazione del progetto presentato alla Regione Lazio, in relazione all’intitolazione del parco e del sacrario.
Da ultimo, veniva rilevata, a parere della difesa, la presenza di due diverse ipotesi di reato, ovvero una relativa all’intitolazione e l’altra riguardante l’organizzazione della cerimonia inaugurale e non già di un’unica fattispecie, come deciso in secondo grado di giudizio.
4. Il discutibile giudizio di legittimità della Suprema Corte
Con la sentenza n. 11576, pronunciata il 25 settembre 2020 e depositata il 25 marzo 2021, la Suprema Corte, annullava la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Nelle proprie considerazioni di diritto, gli Ermellini si limitavano a richiamare risalente giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sentenza n. 1 del 1957) e di legittimità (Cass. pen., sez. 2, n. 8506 del 31/01/1977; Cass. pen., sez. 2, n.3929 del 02/12/1977 e Cass. pen., sez. 2, n. 11106 del 23/05/1979), circa il legame tra apologia di fascismo e concreto pericolo, da accertare tramite i requisiti dettati dall’art. 56 c.p., di ricostituzione del partito fascista.
In tal senso, ad avviso della Cassazione, la pronuncia d’appello avrebbe fatto coincidere il carattere esaltativo delle condotte contestate (l’approvazione della delibera e la successiva cerimonia inaugurale del parco e del museo) con la polarizzazione sul generale R.G., senza specificare alcunché in merito al motivo e sulla scorta di quali elementi tale polarizzazione avrebbe integrato un’esaltazione nonché senza approfondire il pericolo, sul piano concreto, di ricostituzione del partito fascista; pericolo ricavato solo dalla veste pubblica dei soggetti imputati e dalla collocazione topografica del museo.
In sostanza, la dedica e la celebrazione di un esponente del movimento fascista avrebbero richiesto, da parte della Corte d’appello, un’adeguata dimostrazione del collegamento tra dedica del museo, collocazione ovvero esibizione dei cimeli del generale ed il pericolo di ricostituzione del partito fascista; dimostrazione che risultava essere del tutto mancante.
5. Conclusioni
La sopra esposta vicenda giudiziaria ha suscitato molto clamore, non solo sul piano sostanziale, ma (e soprattutto) sul piano formale.
La Suprema Corte sembra, del tutto incredibilmente, aver oltrepassato il confine della legittimità per sconfinare nel merito della questione.
Proprio il profilo relativo al pericolo concreto di ricostituzione del partito fascista, come richiamato dagli Ermellini, appare un (forse) astuto congegno logico-giuridico, volto alla non configurazione del reato di apologia di fascismo, aprendo, così, la strada a pericolose “redenzioni” di dubbie soggettività storiche e, nel caso di specie, di un personaggio fortemente connesso al mondo fascista tramite la costruzione di un pubblico sacrario, finanziato con fondi pubblici della Regione Lazio, quasi a creare un legame indissolubile tra la Pubblica Amministrazione e le scelte politiche del generale R.G.
Da qui, sorge la necessità di un sostanziale ripensamento delle restrizioni, particolarmente in ambito penale, poste alla libertà di manifestazione del pensiero, con un equo bilanciamento tra i diversi interessi meritevoli di tutela.
Ciò che emerge, alla luce dei rilievi sopra esposti e sul piano de iure condendo, è, soprattutto, l’impossibilità di riconnettere al concetto di pericolo una connotazione di concretezza, con un’evidente eccessività di potere discrezionale in capo al giudicante, circa la “lettura” dei fatti.
Una prospettiva astratta di pericolo potrebbe, in tal maniera, evitare, ab origine, interpretazioni arbitrarie, con una formulazione del giudizio d’idoneità della condotta antigiuridica da parte dello stesso legislativo e non già da parte del giudice.
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